COMPETITIVITA’ OGGI ? ESSA NON SEMPRE CREA SVILUPPO E RICCHEZZA, MA IN QUESTA NUOVA STAGIONE EPOCALE, FINISCE PER DISTRUGGERE CIO’ CHE C’E’ GIA’ DI BUONO, IN QUANTO, AGLI IMPRENDITORI ONESTI CHE NON VORREBBERO CHIUDERE, ESSA FINISCE PER RID

Non c’è dubbio alcuno che la libera concorrenza spinge le aziende a produrre meglio ed a prezzi più bassi per fronteggiare i mercati. E ciò vale sia all’interno che all’esterno dei singoli paesi.. Ma c’è un punto di frizione che, una volta raggiunto, se non addirittura superato, determina dei problemi seri che possono causare sia la chiusura che il fallimento delle imprese. E’ successo spesso in Italia con la FIAT per la quale, ove non ci fossero stati massicci interventi statali a sostegno, l’azienda sarebbe fallita e le maestranze sarebbero dovuto stare a casa, allora senza la ormai consolidata e consuetudinaria cassa di integrazione. E mi spiego meglio con un esempio.

Oggi le aziende sono costrette a misurarsi in maniera spasmodica con la concorrenza. Ci sono quelle che non hanno i “fondamentali” per resistere e quindi saltano prima delle altre lasciando a casa centinaia e centinaia di operai, mentre ce ne sono altre che, in nome della loro pregressa solidità economica, ma anche dell’orgoglio e della dignità di chi le dirige, si spingono fino a quel fatidico punto di frizione economico di cui facevo cenno prima, con il risultato di non poter più stare sul mercato e di dover far ricorso ai licenziamenti, pena il fallimento. Non tutti si rendono conto, anche i sindacati spesso per celata demagogia, che un imprenditore serio non gradirebbe mai di essere annoverato fra i “falliti” per cui – cosa che trovo giusta – preferirà chiudere l’azienda in quanto, per ragioni antieconomiche intervenute, non sarà più in grado di soddisfare gli obiettivi per i quali l’azienda stessa è stata fondata.
Ed allora che succede ?
Succede che tutti gli si rivoltano contro, in primis i sindacati, insistendo affinché l’azienda non chiuda, non badando al fatto che le difficoltà, nel caso di specie, hanno riverberi di natura bilaterale: oltre alle maestranze cui rimette infatti anche l’imprenditore che, ripeto, non vuol essere annoverato fra i falliti.
Ed allora si scatenano lotte, scioperi, manifestazione al limite della tollerabilità, che non portano a nessuna soluzione o, al massimo, all’ottenimento di un pannicello caldo per affrontare i primi mesi di disoccupazione, alias la cassa di integrazione.

Ovviamente tutto ciò va capito fino in fondo, sia per l’imprenditore che per gli operai, ma che si può fare se non esistono più le condizioni per vendere e produrre ? In mezzo a tanto ambaradam è inevitabile che nasca il caos dal quale non siamo poi tanto lontani. Ed allora ?
Tutti devono fare la loro parte con molta responsabilità convertendo politiche, produzioni, culture economiche secolarizzate, abitudini di vita, situazioni geografiche fisiche ed economiche, rivoluzionando il sistema che ormai non regge più al “nuovo”, realtà che si è presentata sì in fretta (mezzo secolo fa infatti eravamo poveri) e ripensare a strumenti diversi che, in primis, possano dar da mangiare a chi non ha più il cibo, e quindi inventare strategie complementari a ciò che già c’è, e che, al giorno d’oggi, si identificano con la tanto decantata “green economy” di cui tutti si beano a parole, ma quando si tratta di lavorar la terra fanno subito marcia indietro.

Di chi la colpa di tutto questo ? Di quella politica miope che sin qui ha sempre pensato al presente, pro pancia sua, e non ha mai avuto la necessaria lungimiranza per capire che, presto o tardi, saremmo inevitabilmente arrivati a questo. Il discorso sarebbe lungo, ma mi fermo qui con un banale esempio. Tutti i santi giorni la pubblicità mass-mediatica ci inebetisce con programmi di una tale idiozia, per di più fatti da aziende nazionali importanti, che, per la loro grande inefficacia, dimostrano che è inutile spingere per vendere quando non esistono più le condizioni per farlo, intendendo per condizioni non tanto la mancanza di denaro seppur fatto oggettivo, quanto la saturazione dei prodotti messi in vendita tanto che, nello spazio di un paio di minuti, siamo tutti costretti ad assistere anche 6-7 promozioni, una di seguito all’altra, volte alla vendita di macchine italiane ed estere che non trovano collocazione e che, a rigor di logica, come sta succedendo oggi per la Fiat con 35 % di vendite in meno, potrebbero avere un futuro privo di mercato. Per ora, futuro più a favore della produzione asiatica che produce il doppio ed a metà prezzo vetture di ottimo livello, mentre l’Italia continua invano a scannarsi per vendere fin ad arrivare a quel punto di frizione economica che si realizza in negativo con la chiusura delle fabbriche, fallimenti e suicidi degli imprenditori.

Purtroppo ora il problema grosso c’è, e di inaudite dimensioni !, ma – ahimè – non appare all’orizzonte nessuna soluzione in tempi accettabili per poter rivoluzionare il sistema, mettendo in discussione tutto ciò che le politiche economiche miopi non hanno saputo o voluto vedere per tempo. Del resto, fra ladri ed incompetenti, fatte salve le eccezioni che pur ci sono, non ci si poteva aspettare di meglio.

ARNALDO DE PORTI

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