Neanche una parola

Il nuovo governo, la nuova Legislatura, sono già al lavoro. Il presidente del Consiglio si è presentato alla Camera, dove ha letto il suo discorso programmatico e oggi la Camera dopo il dibattito, darà la sua fiducia al nuovo Esecutivo, voto scontato dato che la coalizione di maggioranza del Partito della Libertà, ha i numeri più che sufficienti. Domani sarà la volta del Senato e anche a palazzo Madama il voto è scontato, perché anche in quella sede la maggioranza ha i numeri sufficienti per far partire il nuovo governo.

Nel suo discorso alla Camera il premier ha manifestato grande disposizione al dialogo con l’opposizione, un invito che il partito maggiore dell’opposizione ha accettato con riserve, ma che, se il dialogo potrà partire, segnerà un cambiamento del clima nella politica italiana che sarà certamente salutare per la Repubblica. La nuova Legislatura e il nuovo governo, sono anche occasione perché anche per noi italiani residenti all’estero, ci sia una nuova partenza, come avviene ogni volta che c’è un cambiamento al vertice del governo o con l’inizio di una Legislatura, per i vari settori della società. Purtroppo, se la politica è fatta di gesti, bisogna dire che non possiamo essere troppo ottimisti in questo inizio di Legislatura. Infatti, tra i 21 ministri con e senza portafoglio e tra i 37 sottosegretari del nuovo governo, nessuno ha avuto fino ad oggi la delega, l’incarico, di occuparsi specificamente degli italiani all’estero.

Se si esclude la labile menzione del Presidente della Camera Gianfranco Fini nel suo discorso di insediamento, rendendo omaggio al Tricolore nel quale “…si riconosce il nostro popolo, le donne e gli uomini che vivono all'interno dei confini della Repubblica, come i nostri connazionali residenti all'estero, che per la seconda volta hanno eletto i loro rappresentanti in Parlamento”, non c’è traccia negli altri discorsi sia del presidente del Senato Schifani, sia in quello del presidente del Consiglio Berlusconi, a noi, agli italiani residenti all’estero.

Come non c’è traccia fino a questo martedì mattina in cui scriviamo questo fondo di un saluto alle comunità italiane all’estero, certo rituale, ma proprio per questo atteso, del ministro per gli Affari Esteri Franco Frattini, l’unico, tra l’altro, che al MAE ha una certa esperienza di dialogo con gli italiani all’estero, in quanto è stato il ministro degli Esteri del II governo Berlusconi, tra novembre 2002 e il 2004, quando entrò a far parte della Commissione Europea. Fino ad oggi non abbiamo saputo niente e questa volta non abbiamo ricevuto niente nemmeno dall’Ambasciata, sempre premurosa per far arrivare questo messaggio ai media italiani all’estero.(Quando c’è!)

Certo, devono essere ancora definite le deleghe tra i tre nuovi sottosegretari e l’augurio è che almeno ad uno di essi venga affidato l’incarico di dialogare con noi.

Se la politica è fatta di gesti, anche la mancanza di gesti è un segnale. E i gesti che mancano sono, purtroppo, numerosi.

Non c’è un ministro per gli Italiani all’Estero, come è stato nel governo di Berlusconi nel 2001. Nonostante le richieste di alcuni settori legati agli italiani all’estero, chiedendo che Mirko Tremaglia fosse chiamato nuovamente a svolgere tale missione, era sicuro al cento per cento che quella nomina non ci sarebbe stata, perché Berlusconi non ha mai perdonato a Tremaglia la sconfitta all’estero nelle elezioni del 2006. Non è stato nominato neanche un viceministro, nonostante alcuni settori legati al centrodestra promuovessero alcuni tra gli eletti all’estero in Europa.

Infine non c’è stato alcun riferimento agli italiani all’estero, come dicevamo all’inizio, nel discorso del Presidente del Consiglio.

Abbiamo sempre sostenuto che una politica per gli italiani all’estero può essere fatta anche senza un ministro e senza un viceministro. Contano i fatti concreti e saremo felici di essere smentiti se da giovedì, quando il governo sarà nel pieno delle sue funzioni comincerà a sviluppare una politica che effettivamente porti soluzioni ai numerosi e annosi problemi che affrontano le nostre comunità e che allo stesso tempo cominci a sviluppare le ricche potenzialità che le nostre comunità offrono da anni all’Italia, senza che essa se ne sia accorta.

L’augurio è che sia così. Che i nostri 18 siano presi in considerazione – e per farlo dovrebbero lavorare insieme, perché altrimenti conteranno quasi niente – che stimolino il governo a sviluppare i rapporti con l’altra Italia. Ma se la politica si fa con i gesti e la mancanza di gesti è un segnale politico, i nostri 18 dovranno stare molto più attenti a quanto proporrà il governo. Perché un conto sarebbe l’indifferenza e a questa siamo ormai abituati da decenni, pur se a forza di confrontarci con la politica italiana qualcosa si è ottenuto. Caso mai ci sarebbe una pausa.

Ma se invece di indifferenza i silenzi annunciano anche una politica di disimpegno verso le nostre comunità, con il rischio che siano resi inutili alcuni degli strumenti di dialogo e di rappresentanza che abbiamo conquistato in trent’anni di lavoro, allora la posta in gioco sarebbe più alta e a questo punto i nostri 18 dovrebbero ricordare che, prima delle loro appartenenze politiche, devono essere fedeli al mandato ricevuto dagli elettori italiani all’estero.

Ma forse siamo troppo pessimisti, troppo allarmisti. In fondo la mancanza di segnali può essere il segno che è finito il tempo delle chiacchiere ed è arrivato quello dell’efficienza, che, sembra, dovrebbe permeare tutta l’azione del nuovo governo.

marcobasti@tribunaitaliana.com.ar

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