Infortunio sul lavoro e natura della responsabilità  datoriale

La natura contrattuale della responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., comporta, in applicazione dell'art. 1218 c.c., che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. In tema di infortuni sul lavoro, la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell'infortunio, e in tal caso la responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta.

Nel caso di specie un lavoratore conveniva in giudizio la società datrice di lavoro per ottenerne la condanna a pagargli un'ingente somma a titolo di danno differenziale, per invalidità permanente, danno biologico, danno morale e 12 mesi di inabilità temporanea, oltre interessi e rivalutazione, in quanto responsabile, ex artt. 2043 e 2087 Cod. Civ., dell'infortunio dal medesimo subìto quando, mentre era intento a smontare imponenti casseformi per il getto di calcestruzzo, una cassaforma si inclinava perché male agganciata dalla squadra precedente, sicché egli si lanciava nella scarpata sottostante per evitare di essere schiacciato dalla stessa, riportando così gravissime lesioni permanenti. Chiamate in causa le società assicuratrici del datore di lavoro, il giudice adito respingeva la domanda, con decisione confermata in appello. Il primo giudice, sentiti i testi, aveva ritenuto non provata la responsabilità della società, considerata anche l'esperienza del lavoratore e il suo ruolo di caposquadra. Il giudice d'appello, confermata la ricostruzione dell'evento operata dall'appellante (secondo cui l'infortunio è accaduto perché altre squadre avevano operato sulle casseformi prima del medesimo, omettendo l'aggancio dell'ultimo pannello, e perché lo stesso si è trovato, al momento dell'infortunio, all'altezza di sei metri dal suolo, in mancanza di sistemi di sicurezza), ha concluso tuttavia che da ciò non consegua la responsabilità del datore di lavoro, perché l'infortunato era un caposquadra esperto nel montaggio delle casseformi, in ciò edotto dalla società, e aveva potuto verificare lo stato dei lavori e, in particolare, il regolare ancoraggio dei pannelli con sostegni telescopici. Quanto alla regola juris da applicare all'infortunio sul lavoro così ricostruito, il giudice d'appello ha rilevato che l'art. 2087 Cod. Civ., non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati: sulla base di tali elementi di fatto e di diritto ha confermato la sentenza impugnata.
Con sentenza n. 9817 del 14 aprile 2008, resa su ricorso del lavoratore, la Cassazione ha censurato la decisione della Corte territoriale affermando che l'infortunio, pur esattamente ricostruito dai giudici di merito, non deve essere tuttavia considerato conseguenza esclusiva dell'operato del lavoratore ma, quantomeno, del concorso di questa con quello di altro dipendente, del cui operato il datore di lavoro è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 Cod. Civ.. Alla fattispecie in questione il giudice d'appello ha applicato esclusivamente il principio di diritto secondo cui l'art. 2087 Cod. Civ. non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati. Tale principio, tuttavia, prosegue la Suprema Corte, in sé esatto, non esaurisce la regola juris che questa Corte ha individuato nella norma in esame. Essa deve perciò essere riassunta nelle sue varie implicazioni: in particolare, la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 Cod. Civ., ha natura contrattuale, con le conseguenze che ciò comporta nel riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore (art. 1218 Cod. Civ.: cfr. Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). Pertanto, ai sensi dell'art. 1218 Cod. Civ., il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione. A tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass., SS.UU., 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva).
Nell'applicare tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, la Corte Suprema rileva che il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 Cod. Civ.: la colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità civile, con l'importante differenza tuttavia nel regime probatorio della responsabilità extracontrattuale, in cui il danneggiato deve provare il fatto, il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, e la loro connessione, ai sensi dell'art. 2697 Cod. Civ., e della responsabilità contrattuale, per la quale l'art. 1218 (e l'art. 2087) Cod. Civ. pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della sua responsabilità contrattuale.
Alla luce delle suddette considerazioni la Cassazione ha formulato sul punto il seguente principio di diritto: “La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 codice civile è di carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 Cod. Civ.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 Cod. Civ. sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.
Alla responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per danni da infortunio sul lavoro per inadempimento all'obbligo contrattuale di sicurezza si applicano, prosegue la Cassazione, oltre l'art. 1218 cod. civ. le altre regole civilistiche sull'inadempimento dell'obbligazione, ed in particolare l'art. 1227, comma 1, Cod. Civ.. sul concorso di colpa del creditore, e ciò diversamente dal regime di tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro, nei quali l'istituto assicuratore è tenuto a pagare la rendita nella sua interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della lesione della integrità psico-fisica.
La giurisprudenza di legittimità individua la responsabilità del debitore dell'obbligo di sicurezza in termini molto severi, e può essere così riassunta: “Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedirle l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell'infortunio, e in tal caso la responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta” (Cass. 17 aprile 2004 n. 7328).
Alla stregua di tali considerazioni la Cassazione afferma poi che le qualità professionali di un lavoratore (nella specie caposquadra), tenuto ad una particolare diligenza e sorveglianza sull'operato degli altri lavoratori della squadra, possono indurre il giudice del merito ad una particolare valutazione del suo concorso causale ad un infortunio a proprio danno, ma non ad escludere l'incidenza causale su tale infortunio dell'operato di altri lavoratori non dipendenti dal medesimo caposquadra, del cui operato il datore di lavoro è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 Nel caso di specie un lavoratore conveniva in giudizio la società datrice di lavoro per ottenerne la condanna a pagargli un’ingente somma a titolo di danno differenziale, per invalidità permanente, danno biologico, danno morale e 12 mesi di inabilità temporanea, oltre interessi e rivalutazione, in quanto responsabile, ex art. 2043 e 2087 c.c., dell'infortunio dal medesimo subìto quando, mentre era intento a smontare imponenti casseformi per il getto di calcestruzzo, una cassaforma si inclinava perché male agganciata dalla squadra precedente, sicché egli si lanciava nella scarpata sottostante per evitare di essere schiacciato dalla stessa, riportando così gravissime lesioni permanenti. Chiamate in causa le società assicuratrici del datore di lavoro, il giudice adito respingeva la domanda, con decisione confermata in appello. Il primo giudice, sentiti i testi, aveva ritenuto non provata la responsabilità della società, considerata anche l'esperienza del lavoratore e il suo ruolo di caposquadra. Il giudice d'appello, confermata la ricostruzione dell’evento operata dall’appellante (secondo cui l'infortunio è accaduto perché altre squadre avevano operato sulle casseformi prima del medesimo, omettendo l'aggancio dell'ultimo pannello, e perché lo stesso si è trovato, al momento dell'infortunio, all'altezza di sei metri dal suolo, in mancanza di sistemi di sicurezza), ha concluso tuttavia che da ciò non consegua la responsabilità del datore di lavoro, perché l'infortunato era un caposquadra esperto nel montaggio delle casseformi, in ciò edotto dalla società, e aveva potuto verificare lo stato dei lavori e, in particolare, il regolare ancoraggio dei pannelli con sostegni telescopici. Quanto alla regola juris da applicare all'infortunio sul lavoro così ricostruito, il giudice d'appello ha rilevato che l'art. 2087 cod.civ. non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati: sulla base di tali elementi di fatto e di diritto ha confermato la sentenza impugnata.
Con sentenza n. 9817 del 14 aprile 2008, resa su ricorso del lavoratore, la Cassazione ha censurato la decisione della Corte territoriale affermando che l'infortunio, pur esattamente ricostruito dai giudici di merito, non deve essere tuttavia considerato conseguenza esclusiva dell'operato del lavoratore ma, quantomeno, del concorso di questa con quello di altro dipendente, del cui operato il datore di lavoro è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 cod.civ.. Alla fattispecie in questione il giudice d'appello ha applicato esclusivamente il principio di diritto secondo cui l'art. 2087 cod. civ. non prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva, ma occorre sempre che l'evento sia riferibile a colpa del datore di lavoro, per violazione di obblighi di comportamento imposti da norme di fonte legale o suggeriti dalla tecnica, concretamente individuati. Tale principio, tuttavia, prosegue la Suprema Corte, in sé esatto, non esaurisce la regola juris che questa Corte ha individuato nella norma in esame. Essa deve perciò essere riassunta nelle sue varie implicazioni: in particolare, la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 cod. civ. ha natura contrattuale, con le conseguenze che ciò comporta nel riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore (art. 1218 cod. civ.: cfr. Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184). Pertanto, ai sensi dell'art. 1218 cod. civ., il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione. A tale scopo egli può limitarsi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 3 0 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva).
Nell'applicare tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, la Corte Suprema rileva che il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 cod. civ.: la colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità civile, con l’importante differenza tuttavia nel regime probatorio della responsabilità extracontrattuale, in cui il danneggiato deve provare il fatto, il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, e la loro connessione, ai sensi dell'art. 2697 cod. civ., e della responsabilità contrattuale, per la quale l'art. 1218 (e l'art. 2087) cod. civ. pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della sua responsabilità contrattuale.
Alla luce delle suddette considerazioni la Cassazione ha formulato sul punto il seguente principio di diritto: “La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 codice civile è di carattere contrattuale, perché il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 cod. civ. sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.
Alla responsabilità del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per danni da infortunio sul lavoro per inadempimento all'obbligo contrattuale di sicurezza si applicano, prosegue la Cassazione, oltre l'art. 1218 cod. civ. le altre regole civilistiche sull'inadempimento dell'obbligazione, ed in particolare l'art. 1227, 1^ comma, cod. civ. sul concorso di colpa del creditore, e ciò diversamente dal regime di tutela previdenziale degli infortuni sul lavoro, nei quali l'istituto assicuratore è tenuto a pagare la rendita nella sua interezza anche in caso di concorso del lavoratore nella causazione della lesione della integrità psico fisica.
La giurisprudenza di legittimità individua la responsabilità del debitore dell'obbligo di sicurezza in termini molto severi, e può essere così riassunta: “Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedirle l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza dello stesso; ne consegue che il datore di lavoro è sempre responsabile dell'infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l'imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni all'eventuale concorso di colpa del lavoratore, atteso che la condotta del dipendente può comportare l'esonero totale del datore di lavoro da responsabilità solo quando essa presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, come pure dell'atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell'evento. Il comportamento imprudente del lavoratore, quando non presenti i caratteri estremi sopra indicati, può invece rilevare come concausa dell'infortunio, e in tal caso la responsabilità del datore di lavoro può essere proporzionalmente ridotta” (Cass. 17 aprile 2004 n. 7328).
Alla stregua di tali considerazioni la Cassazione afferma poi che le qualità professionali di un lavoratore (nella specie caposquadra), tenuto ad una particolare diligenza e sorveglianza sull'operato degli altri lavoratori della squadra, possono indurre il giudice del merito ad una particolare valutazione del suo concorso causale ad un infortunio a proprio danno, ma non ad escludere l'incidenza causale su tale infortunio dell'operato di altri lavoratori non dipendenti dal medesimo caposquadra, del cui operato il datore di lavoro è tenuto a rispondere, ai sensi dell'art. 2049 Cod. Civ..
La sentenza impugnata, che non si è attenuta ai principi di diritto sopra riassunti o enunciati, ed è insufficiente nella valutazione dei fattori sopra cennati, è stata quindi cassata con rinvio.(Norma quotidiano di informazione giuridica).

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