Disperato per un indebito di 5.000 euro da restituire all’Inps, un ex emigrato di 74 anni si è ucciso a Capodanno lanciandosi dal balcone. L’ex operaio aveva lavorato in Germania e poi in Olanda e infine era rientrato a Bari. Da quanto si è appreso da fonti giudiziarie era titolare di un assegno sociale di 450 euro più una misera pensione per gli anni lavorati all’estero di circa 250 euro. Nei giorni scorsi aveva ricevuto la lettera dall’Inps – che migliaia di nostri emigrati conoscono bene – nella quale l’istituto previdenziale lo informava di avergli corrisposto indebitamente la somma e avrebbe effettuato una ritenuta mensile di 50 euro. Il pensionato avrebbe cominciato a temere di non farcela e di rischiare di perdere la casa nella quale viveva con il fratello, anch’egli celibe. Il 1° gennaio all’ora di pranzo l’ex emigrato ha deciso di farla finita e si è lanciato dal quarto piano nel cortile interno della palazzina del quartiere Murattiano morendo sul colpo.
Non ho intenzione di fare facile retorica su questa tragedia; si tratta ovviamente di un raro episodio, anche se non il primo e probabilmente neanche l’ultimo. Ma sono decine di migliaia i nostri emigrati che si trovano nella stessa situazione: indebito e pensione da fame. Il suicidio è un evento raro ma la disperazione è estesa e condivisa. Gli indebiti sulla pensione degli emigrati, come ho spiegato oramai più volte, non sono mai causati da dolo da parte dei pensionati ma più semplicemente da un meccanismo di rilevazione dei redditi che lascia molto a desiderare.
La soluzione l’ho presentata alla Camera dei deputati – si tratta di una sanatoria tra l’altro parziale – ma giace occultata nel cassetto di qualche Commissione tra l’indifferenza dei Governi, del Parlamento, delle forze politiche (compresa quella di cui faccio parte) e delle forze sociali.
Gino Bucchino