Disegno di legge

 

 

Art. 1. Per l’esercizio della professione di presentatore, intrattenitore di programmi televisivi giornalistici e radiofonici, ed in ogni caso, qualsiasi attività che comporti lo stare in video, per esempio, attività di intervista o semplicemente documentaristica, è necessario un titolo qualificante che garantisca il massimo della professionalità. I titoli di studio idonei a consentire l’assunzione, anche parziale o a tempo determinato, sono il diploma di laurea, scuole di comunicazione almeno triennali, master universitari specifici nel campo della comunicazione, tesserino di giornalista pubblicista o di giornalista professionista iscritti ai rispettivi albi.

 

Art. 2. Analogo onere sarà a carico di quanti vorranno visibilità in televisione (valido solo per l’apparire in video e non anche per il teatro o la piazza o la strada o qualsiasi altro luogo) per la professione di attore radio/televisivo. In questo caso, per gli autodidatti, sarà necessario possedere un curriculum che comprovi l’attività di attore per un periodo che può sembrare congruo di due anni presso compagnie teatrali regolarmente costituite, oppure la frequentazione di scuole d’arte della recitazione regolarmente riconosciute dallo Stato.

 

Il disegno di legge in parola, è atto ad evitare improvvisazioni e pressappochismi che, stando a quanto accade in televisione, stanno diventando la regola producendo danni di grande rilevanza.

Il vero e proprio arrembaggio alla visibilità, produce solo dilettanti che, troppo spesso, sono a digiuno delle più elementari regole deontologiche che formano il disciplinare di un professionista su cui incombe l’onere e la responsabilità di parlare a milioni si teleradioascoltatori.

 

Stando alla prassi, infatti, è invalso l’uso di raggiungere il successo e la visibilità ad ogni costo, anteponendolo allo studio ed alla competenza.

Il ricorso che troppo spesso i giovani fanno a trasmissioni televisive di grande popolarità,dimostra che la competenza e la qualificazione professionale sono del tutto ignorati e che lo studio e la preparazione non siano prodromi al successo, bensì una conseguenza: «sono diventato famoso, perciò ora devo studiare»

 

Troppo spesso, assistiamo a situazioni paradossali cui, è da responsabili del servizio pubblico, porre dei rimedi. Per esempio, persone che raggiungono la notorietà per merito di una trasmissione televisiva (si pendi al Grande Fratello), al termine della quale si intraprende un’attività di recitazione, in televisione, senza avere il minimo bagaglio di preparazione. O, peggio ancora, arrivare a parlare a milioni di telespettatori senza averne né la competenza né la professionalità, il che può rivelarsi molto pericoloso oltre che sconveniente.

Il disegno di legge in parola tende a responsabilizzare quanti lavorano per le radio e le televisioni, soprattutto nel rispetto delle professionalità qualificate già esistenti e nel rispetto di altrettante professionalità qualificate che attendono la loro occasione dopo anni di studio e specializzazione.

 

Prima si studia e poi si diventa famosi per la bravura nella propria attività e non viceversa. Il disegno tende a tutelare soprattutto la buona fattura dei programmi destinati allo spettatore.

 

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