LA DESTRA HA FALLITO

LA DESTRA HA FALLITO

 

Chi scrive è ancora convinto della necessità di una differenza tra la destra e la sinistra. Il fatto che questa declinazione passi oggi da categorie parzialmente inesplorate, inedite o edite ma snobbate, rafforza e non limita l’opportunità di saper distinguere l’approccio ai problemi secondo le preferenze che si danno nella loro soluzione. Disgraziatamente, tanto a destra quanto a sinistra, è andato molto di moda dire che non c’era più destra né sinistra. Ha iniziato, anzi, la sinistra, quando alla chiusura del ciclo delle lotte sociali si rendeva necessario passare dalla forza mobilitativa dell’opposizione a quella concreta dell’ottenimento del governo. Solo che la destra è diventata molto più brava nel gioco di non dirsi “né destra né sinistra”, potendo farsi scudo di inviti a nozioni considerate universali e non particolari: il mercato, la sicurezza, la tradizione, il pragmatismo.

Chi scrive muove da un’ulteriore convinzione. La necessaria e inevitabile esistenza della destra e della sinistra non cancella due cose: che sia interesse collettivo e non particolaristico che tanto la destra quanto la sinistra svolgano la loro funzione civile nel miglior modo possibile; che tanto la destra quanto la sinistra debbano avere una grammatica comune, contemporaneamente massimo comun divisore e minimo comune multiplo della politica (sono stati variamente denominati e identificati: chi i diritti umani, chi le libertà fondamentali, chi i principi costituzionali).

Siamo ora alla tesi di queste considerazioni: la destra degli ultimi tre decenni ha fallito. E questo fallimento ha danneggiato lei e gli altri. La destra istituzionale ha sempre avuto bisogno del consenso e dell’immaginario della destra non istituzionale: meno attrezzata culturalmente, ma più numerosa; meno pratica dei temi amministrativi, ma più sprezzante nei confronti degli avversari; mossa da istanze sociali a un qualche livello comunque percepite (l’identità, la conservazione degli status, la paura della crisi e della diversità), ma sempre bisognosa di vedere loro espresse in un qualche canale politico esistente (un decreto, una legge, un leit-motiv in una campagna elettorale).

In questa destra sono venute fuori delle sciocchezze colossali, che meritano di esser dichiarate irricevibili: che la disoccupazione fosse conseguenza degli immigrati occupati in mansioni degradanti; che le scelte sessuali dovessero essere, se sgradite, sempre e comunque oggetto di invettiva o di ludibrio; che ogni misura potenzialmente contraria a un proprio interesse particolare fosse indicativa di un’universale disegno dittatoriale. Questa destra di base ha tuttavia raccolto uno spavento, al quale la destra istituzionale la ha scientemente indirizzata: diminuendo la qualità dell’informazione per deprezzare la qualità di scelta politica, chiamando alla carica e a raccolta le peggiori crociate quando si trovava incapace di dare risposte serie da opposizione parlamentare, istigando un senso di superiorità morale e di menefreghismo per le alternative praticabili. Destra non istituzionale e destra istituzionale hanno perso il reciproco controllo dell’una sull’altra che garantiva la loro convivenza, coesistenza e alleanza. Non è l’Italia; ce lo dice uno sguardo alla destra vista oggi nel mondo. L’ex presidente americano Trump e Giorgia Meloni scontano a qualche anno di distanza gli stessi problemi: hanno fatto del risentimento contro la tutela giuridica delle minoranze la ragione sociale dei loro consensi elettorali, hanno persino fatto breccia in quelle stesse minoranze proponendosi come negazione di tutte le altre minoranze. I loro sostenitori più accesi, tuttavia, tendono molto, troppo, facilmente a vederli o come totem o come traditori. Totem finché simbolicamente saturano tutti gli spazi della destra non istituzionale (difesa di una tradizione atavica e prepolitica, pretesa di aver ragione in ogni controversia, utilizzo della spesa sociale a fini redistributivi senza alcuna rete di solidarietà intersoggettiva), traditori appena le loro posizioni – pur le più radicali – alla loro base sembrassero arretrate, annacquate, moderate.

I no vax che hanno votato e tutt’oggi votano con orgoglio i partiti di quella destra si vedono ad esempio travolti e tramortiti dalla necessità pratica, operativa, reale di diffondere i vaccini, le cure, la diagnostica, riducendo per tale via la paralisi, l’emergenza, le limitazioni di libertà.  I politici della destra istituzionale sanno benissimo – e non hanno più la libertà di dirlo – che si potrà convivere con la malattia in pienezza di diritti individuali soltanto minimizzando le perdite, i rischi, i danni. E sono costretti ad agire in questo senso. I loro sostenitori appena sentono la doppiezza di chi li aizzava al contrattacco passano attivamente alla contestazione (a volte sacrosanta, a volte tuttavia pericolosa) di chi adesso è costretto a ballare tra dichiarazioni al vetriolo e scelte ambigue. Possiamo dirlo: questa destra ha fallito. Doveva servire a tutelare l’identità particolare nella società globale; ha preso quella bandiera e la ha trasformata in un simbolo molto forte. Lo ha usato soltanto come spartiacque tra sé e gli avversari: non ha davvero fatto granché per rendere efficacemente funzionante l’interesse dei suoi supporters. E ora stanno solo venendo al pettine i nodi di chi sa di non poter giocare sempre e solo di vista corta, perché, si sa, la vita ha bisogno di tempo, ma quando sei diventato celebre gridando a tutti che avresti dato tutto e subito  l’onda lunga delle tue menzogne sarà devastante.

 

Chi scrive è ancora convinto della necessità di una differenza tra la destra e la sinistra. Il fatto che questa declinazione passi oggi da categorie parzialmente inesplorate, inedite o edite ma snobbate, rafforza e non limita l’opportunità di saper distinguere l’approccio ai problemi secondo le preferenze che si danno nella loro soluzione. Disgraziatamente, tanto a destra quanto a sinistra, è andato molto di moda dire che non c’era più destra né sinistra. Ha iniziato, anzi, la sinistra, quando alla chiusura del ciclo delle lotte sociali si rendeva necessario passare dalla forza mobilitativa dell’opposizione a quella concreta dell’ottenimento del governo. Solo che la destra è diventata molto più brava nel gioco di non dirsi “né destra né sinistra”, potendo farsi scudo di inviti a nozioni considerate universali e non particolari: il mercato, la sicurezza, la tradizione, il pragmatismo.

Chi scrive muove da un’ulteriore convinzione. La necessaria e inevitabile esistenza della destra e della sinistra non cancella due cose: che sia interesse collettivo e non particolaristico che tanto la destra quanto la sinistra svolgano la loro funzione civile nel miglior modo possibile; che tanto la destra quanto la sinistra debbano avere una grammatica comune, contemporaneamente massimo comun divisore e minimo comune multiplo della politica (sono stati variamente denominati e identificati: chi i diritti umani, chi le libertà fondamentali, chi i principi costituzionali).

Siamo ora alla tesi di queste considerazioni: la destra degli ultimi tre decenni ha fallito. E questo fallimento ha danneggiato lei e gli altri. La destra istituzionale ha sempre avuto bisogno del consenso e dell’immaginario della destra non istituzionale: meno attrezzata culturalmente, ma più numerosa; meno pratica dei temi amministrativi, ma più sprezzante nei confronti degli avversari; mossa da istanze sociali a un qualche livello comunque percepite (l’identità, la conservazione degli status, la paura della crisi e della diversità), ma sempre bisognosa di vedere loro espresse in un qualche canale politico esistente (un decreto, una legge, un leit-motiv in una campagna elettorale).

In questa destra sono venute fuori delle sciocchezze colossali, che meritano di esser dichiarate irricevibili: che la disoccupazione fosse conseguenza degli immigrati occupati in mansioni degradanti; che le scelte sessuali dovessero essere, se sgradite, sempre e comunque oggetto di invettiva o di ludibrio; che ogni misura potenzialmente contraria a un proprio interesse particolare fosse indicativa di un’universale disegno dittatoriale. Questa destra di base ha tuttavia raccolto uno spavento, al quale la destra istituzionale la ha scientemente indirizzata: diminuendo la qualità dell’informazione per deprezzare la qualità di scelta politica, chiamando alla carica e a raccolta le peggiori crociate quando si trovava incapace di dare risposte serie da opposizione parlamentare, istigando un senso di superiorità morale e di menefreghismo per le alternative praticabili. Destra non istituzionale e destra istituzionale hanno perso il reciproco controllo dell’una sull’altra che garantiva la loro convivenza, coesistenza e alleanza. Non è l’Italia; ce lo dice uno sguardo alla destra vista oggi nel mondo. L’ex presidente americano Trump e Giorgia Meloni scontano a qualche anno di distanza gli stessi problemi: hanno fatto del risentimento contro la tutela giuridica delle minoranze la ragione sociale dei loro consensi elettorali, hanno persino fatto breccia in quelle stesse minoranze proponendosi come negazione di tutte le altre minoranze. I loro sostenitori più accesi, tuttavia, tendono molto, troppo, facilmente a vederli o come totem o come traditori. Totem finché simbolicamente saturano tutti gli spazi della destra non istituzionale (difesa di una tradizione atavica e prepolitica, pretesa di aver ragione in ogni controversia, utilizzo della spesa sociale a fini redistributivi senza alcuna rete di solidarietà intersoggettiva), traditori appena le loro posizioni – pur le più radicali – alla loro base sembrassero arretrate, annacquate, moderate.

I no vax che hanno votato e tutt’oggi votano con orgoglio i partiti di quella destra si vedono ad esempio travolti e tramortiti dalla necessità pratica, operativa, reale di diffondere i vaccini, le cure, la diagnostica, riducendo per tale via la paralisi, l’emergenza, le limitazioni di libertà.  I politici della destra istituzionale sanno benissimo – e non hanno più la libertà di dirlo – che si potrà convivere con la malattia in pienezza di diritti individuali soltanto minimizzando le perdite, i rischi, i danni. E sono costretti ad agire in questo senso. I loro sostenitori appena sentono la doppiezza di chi li aizzava al contrattacco passano attivamente alla contestazione (a volte sacrosanta, a volte tuttavia pericolosa) di chi adesso è costretto a ballare tra dichiarazioni al vetriolo e scelte ambigue. Possiamo dirlo: questa destra ha fallito. Doveva servire a tutelare l’identità particolare nella società globale; ha preso quella bandiera e la ha trasformata in un simbolo molto forte. Lo ha usato soltanto come spartiacque tra sé e gli avversari: non ha davvero fatto granché per rendere efficacemente funzionante l’interesse dei suoi supporters. E ora stanno solo venendo al pettine i nodi di chi sa di non poter giocare sempre e solo di vista corta, perché, si sa, la vita ha bisogno di tempo, ma quando sei diventato celebre gridando a tutti che avresti dato tutto e subito  l’onda lunga delle tue menzogne sarà devastante.

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