La storia del Barolo ed i retroscena sulla sua archeologia enologica

Giorgio Gallesio ne “I Giornali dei Viaggi” –  edito dalla Reale Accademia dei Georgofili – descrisse la Sua visita a Barolo avvenuta il 19 settembre 1834:

 

“Il vino di Barolo dura molti anni e il marchese di Barolo lo conserva per mandarlo alla Corte di Torino e ad altri. In questo paese si crede che per avere del vino finissimo bisogna farlo di nebbiolo puro … Ho visitato la cantina del marchese Barolo: è un gran semi-sotterraneo con volte a botte sopra del quale vi è la tinaia. Vi erano 30 botti, in gran parte di vini vecchi  …”

 

Da questa breve ma efficace descrizione, si può  dedurre che:

 

  • se nelle Cantine del Marchese di Barolo, nell’autunno del 1834, vi erano 30 botti, certamente l’attività di vinificazione era ben avviata già da tempo ed era assai fiorente in quanto il Marchese di Barolo forniva dei Suoi vini la Corte Reale di Torino!
  • la cantina descritta “è un gran semi-sotterraneo con volte a botte sopra del quale vi è la tinaia” è esattamente quella sottostante la Cascina del Pilone essendo questa una semi-sotterraneo dotato di 11 volte a botte, successivamente raddoppiato, come si può notare dalle aperture, successivamente murate, che sono ben visibili sul lato – un tempo esterno – della prima cantina.

 

Le seconda delle due Cantine dei Marchesi di Barolo caratterizzate da 11 volte a botte dove ancora giacciono, in piena efficienza, le antiche Botti della Marchesa.

In primo piano, a sinistra, si nota una delle finestre – della prima cantina – murata successivamente all’edificazione della seconda.

 

Inoltre, Lorenzo Fantini, nella Monografia sulla Viticultura ed Enologia nella Provincia di Cuneo pubblicato nel 1883 e ripreso testualmente nel Giornale Vinicolo Italiano edito nel 1884 a pag. 270, afferma:

“… Eppoi, chi ha fatto la nomea a questo nebbiolo?

Tutti lo sanno che sono i vini del compianto Marchese di Barolo, il quale in tempi in cui non si conosceva neanco di fama l’esportazione, sia pei (ndr = per i) mezzi che disponeva, sia ancora per le immense ed elevate relazioni che aveva, potè far conoscere i suoi vini in paesi in cui nessuno poteva far arrivare i suoi.

Lo si chiamò semplicemente Barolo perché tale era il nome del comune da cui proveniva…”

 

E Claudio Falletti di Villafalletto:  “Sappiamo per certo che l’ultimo Marchese di Barolo, Carlo Tancredi, s’interessasse di botanica, agronomia e idraulica da applicare anche nei suoi possedimenti.  Tutti i suoi diari di viaggi per l’Italia e l’Europa ne fanno non solamente menzione ma ne riportano dettagliati e particolareggiati disegni e studi. E conosciamo quanto fosse interessato affinchè le sue proprietà producessero e rendessero al massimo tutti quei prodotti che offriva la terra.

Marcello Falletti di Villafalletto, nella biografia del Marchese fa spesso riferimento a queste iniziative di Carlo Tancredi Falletti e nello specifico riporta anche una circostanziata lettera, datata da Racconigi il 12 novembre 1821, di un tedesco, certo Stanislao Kurten che impartiva spiegazioni per la spedizione in Russia di viticci e barbatelle.

Il Marchese è chiaro che si occupasse anche di viticoltura, riesce anche in questa operazione, da vero esperto qual era, avendo anche ricoperto l’incarico  di membro delle Camere di Agricoltura e di Commercio di Torino, istituite dal Re nel 1824”. (Pagine 281 – 282).

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