Geniale la battuta di Dario Vergassola: “Sono buoni tutti a vincere le elezioni con i candidati degli altri”. Aggiungerei: al primo turno, però. Al secondo, c’è spazio per far saltare tutto, anche con i candidati degli altri.Ma chi sono “gli altri”? Non sono una nuvola di passaggio nella politica italiana, ma l’espressione di nuove teste, nuovi pensieri, con tanta voglia di aprire la finestra per far entrare aria nuova. Hanno trovato, stanno trovando, il modo di organizzarsi e di farsi sentire.
Il Pd giustamente gioisce, ma non interpreta che di striscio questo settore dell’opinione pubblica. Dovrebbe riflettere, in chiuse stanze, sul fatto di essere insieme vincitore e sconfitto. È in crisi di consensi, ed è stato sorretto in funzione antiberlusconiana, dalle stesse forze che ha sempre cercato di emarginare. A Napoli, con De Magistris, è stato non solo battuto, ma anche scavalcato. La sinistra storica italiana (chiamiamola così) perde un’altra occasione di rappresentare il cambiamento.
A Bologna il movimento di Beppe Grillo ottiene un clamoroso 10%. E Bologna (Bologna!) non è un “incidente”, non è il risultato di una serie di circostanze, di un’occasionale “cattiva amministrazione”. Poi c’è anche Napoli. E anche qui non si può parlare di “incidente”. A meno che per “incidente” non si intenda il fatto che il Partito Democratico è diventato quel partito che ha portato ad amministrazioni come quelle di Bologna e di Napoli.
E poi c’è Milano dove hanno vinto (di nuovo) le primarie. Che hanno imposto un candidato che il Pd non voleva, perché preferiva Stefano Boeri. Sarà pure vero che gli americani strabuzzano gli occhi quando D’Alema gli parla delle nostre primarie, ma è pure vero che non conoscono il Pd.
Soprattutto, ha vinto la voglia di liberarsi da Berlusconi. Ricordiamolo, perché non si può chiedere che i voti non vadano dispersi, e poi non riconoscere che, senza questo aut/aut, i risultati sarebbero potuti essere altri.
C’è aria nuova. E un contributo importante a rinnovarla è venuto anche da Beppe Grillo. Tanto più stridente, sebbene non inspiegabile, è allora che Grillo si tiri da parte.
Beppe Grillo ha molti meriti. Con un semplice blog ha ottenuto quello che i professionisti della sinistra si sono guardati bene dall’ottenere. Ha dato fiducia e coraggio a un nuovo settore dell’opinione pubblica, molti sono giovani. Il caso Parmalat, raccontato da Grillo, prima delle istituzioni di controllo, non dovrebbe essere dimenticato. Tuttavia, è più facile condividere le sue critiche che le sue soluzioni. Nel caso di queste elezioni poi è veramente impossibile. Mattia Calise tergiversa sul ballottaggio con l’argomento che il loro non è un partito ma un movimento di cittadini informati… Alla faccia del movimento dei cittadini informati! Destra berlusconiana e centrosinistra sono uguali? Pisapia e Moratti uguali? Come informazione non mi pare corretta. Un conto sono le iperboli, le battute, un’altra la realtà.
Il movimento di Grillo, leggo, non si esprime nettamente sul futuro del regime berlusconiano però chiederà, in modo rigoroso, a entrambi i candidati, che cosa vogliono fare dell’acqua, del WiFi.. Stiamo scherzando? Questo è politichese puro. Trovo strano che si possano porre delle domande rigorose, sapendo bene di non potere credere alle risposte. Tanti post dedicati a “Morfeo” per le firme non negate, e poi ci si concede questa pennichella?
Se Pisapia dovesse perdere per i voti negati dal movimento di Grillo, questo apparirebbe come una realtà separata dal vento nuovo del cambiamento. Cosa che farebbe proprio il gioco dei partiti che Grillo combatte.
Da dove viene questo sonnecchiare? Azzardo un’ipotesi, e la prendo da lontano. Grillo è stato spesso definito un qualunquista, soprattutto nel senso derivato di “qualunquismo”, ovvero il “sono tutti uguali”. In generale questo uso di “qualunquismo” non mi ha mai convinto. Il raffronto interessante mi pare invece con il “qualunquismo” storico, ovvero con la critica ai partiti del movimento di Guglielmo Giannini, L’Uomo qualunque.
Le parole d’ordine del movimento di Guglielmo Giannini erano: niente Stato, assoluto liberismo economico, per governare è sufficiente un ragioniere, indifferenza per gli interessi generali. Il “qualunquismo”, come si capisce, non amava i partiti, che vedeva come congreghe di truffatori. Ma, attenzione: aveva di fronte i partiti, non la partitocrazia nel suo stadio terminale. Il qualunquismo si opponeva ai partiti del dopoguerra, con i loro congressi, le lotte interne, le maggioranze e le minoranze, le visioni ideologiche, con una certa capacità di rappresentare la società civile.
Il movimento di Grillo non è, in questo senso, qualunquista, anche perché i partiti stessi non ci sono più. La “partitocrazia” è la degenerazione dei partiti in comitati di potere e d’affari. È lo specchio di una società bloccata.
Alla guida dei partiti, o meglio bisognerebbe dire, dei post-partiti, c’è spesso un capo carismatico, senza il quale non esisterebbero. I post-partiti si identificano con il loro leader al punto da renderne intercambiabile la denominazione: a quella del partito si può sostituire quella del leader: Idv è il partito di Di Pietro, il Partito della libertà è il partito di Berlusconi, Futuro e libertà il partito di Fini.
Anche i Radicali sono il partito di Pannella, che non a caso forma degli ottimi portavoce. Lo stesso però si potrebbe dire per il Movimento 5 stelle. Si dirà che una cosa è la forma e un’altra la sostanza; ma in democrazia la forma è sostanza. Il Pd resta l’unico grande partito vecchio stile, ma qui l’apparenza non corrisponde con la realtà, e facile sarebbe osservare che del “comitato” hanno perso solo la specificazione di “centrale”. Come sappiamo, la legge elettorale fotografa questa situazione: sono le segreterie dei partiti che nominano/distribuiscono i “posti”.
Il movimento di Grillo, insomma, critica i partiti di oggi, ma viene dalla loro crisi, viene dopo la crisi dei partiti. Non vorrei impelagarmi in una disquisizione noiosa su se questa sia una condizione storico-oggettiva o, al contrario, se debba imputarsi a una responsabilità soggettiva. Riconosco che il movimento di Grillo non nasce in nome di un sospetto piccolo borghese verso la politica, ma, esattamente al contrario, è una risposta alla stasi, all’immobilità. Solo ha il torto di attribuire questa immobilità in modo generico ai partiti, mentre sembrerebbe più interessante leggerla come una conseguenza dell’esaurimento del partito come forma di rappresentanza.
La cittadinanza attraverso la rete cambierebbe qualcosa? Mi pare che questo sia trasformare la rete in un feticcio. Ma il discorso ci porterebbe lontano. Quello che so, e che è sotto gli occhi di tutti, è che oggi il quadro è molto più banale, anzi triviale. Il solo attacco “vecchio stile” alla divisione dei poteri, sostenuta da una campagna eversiva di vaste proporzioni, dovrebbe far capire il senso della posta in gioco.
Dell’immobilità che ha svuotato la forma-partito, la sinistra italiana porta la responsabilità più grossa. Chi altri del resto? Chi altri avrebbe avuto l’ufficio di esprimere il cambiamento? La sinistra italiana storicamente ha avuto sempre la vocazione al tappo, ma illudendo il suo elettorato della prossima parusia, o, se si preferisce, della prossima festa a champagne.
Ma il tappo non salta mai. E allora ci si organizza. Il risultato di Napoli è interessante. Mostra qualcosa di nuovo. Il centrosinistra non è stato battuto dalla destra, ma è stato scavalcato da una formazione politica che, grazie a De Magistris, ha preso la bandiera del rinnovamento. Ma questa, però, è anche una spina per Grillo, e un segnale importante, una sveglia. La scomunica che ha lanciato contro De Magistris non è riuscita infatti a isolare l’ex-magistrato dal consenso di quell’area di cittadini informati (molto informati), che vogliono cambiare il paese e che anche Grillo, senza dubbio, ha a cuore. Alla prova dei fatti, la posizione di Grillo è stata un errore.
Basta pensare al significato che avrebbe avuto l’elezione a sindaco di Napoli – città simbolo del fallimento del Pd e del Pdl, e simbolo anche di un disastro iconologico senza pari – di un candidato che fosse stato espressione anche del Movimento a 5 stelle. Un banco di prova nazionale senza pari. Insomma, non vorrei che anche Grillo, in nome della “concretezza”, si mettesse a fare il contrario: a predicare la parusia, la salvezza nell’eterno domani. C’è già chi gli fa concorrenza.
Ma l’aver sottovalutato (o il non aver voluto affatto considerare) le possibilità di De Magistris ribadisce la logica che impone l’epoca della crisi dei partiti. I grandi movimenti per i diritti civili hanno avuto la capacità laica di utilizzare i partiti per ottenere i loro risultati. I partiti bene o male recepivano le istanze di cambiamento. D’altro canto, però, per un movimento carismatico, per un post-partito, non è possibile scendere a compromessi. Perderebbe subito parte del proprio consenso. Lo scontro diventa tra monadi, tra atomi politici. Il cittadino informato lo immagino con uno spirito più laico e per questo capace di scombussolare tutto. Vedremo.
Giovanni Perazzoli