TRASPARENZA E LEGALITA’ ANCHE IN ECONOMIA

Capisco che i capitalisti – coloro che possiedono e impiegano capitali in attività economiche produttive – ritengano che il mercato è tutto. Comprendo anche che pensare di ritornare al vecchio collettivismo – sistema economico-politico per cui la proprietà dei mezzi di produzione dei beni spetta di diritto alla collettività – è assolutamente superato.
Ed allora proviamo a ragionare insieme. Superata la seconda guerra mondiale, l’Italia per ricostruire società ed economia non si affidò né all’economia di mercato tout court, né tampoco allo statalismo. Scelse, e fece bene, un tertium genus, un sistema misto affidato certamente al mercato, ma con l’intervento dello Stato in materie fondamentali per la nostra economia.

Fino a quando l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale nato in epoca fascista nel 1933) non cominciò a fare panettoni, biscotti e gelati, la presenza nel settore del credito (Banca Commerciale Italiana, Credito Italiano, Banco di Roma), nella siderurgia (Finsider), nella meccanica (Finmeccanica), cantieristica (Fincantieri), telecomunicazioni (Stet), trasporto aereo (Alitalia), trasporto stradale (Autostrade), radiotelevisione (Rai), funzionò ed il nostro Paese diventò una potenza industriale.

Poi un po’ l’enorme debito pubblico, un po’ l’invadenza dei partiti nell’economia fino a determinare ‘tangentopoli’, un po’ perché così andava nel mondo, si è cominciato con le privatizzazioni o, più correttamente, con le dismissioni. Per fare cassa le banche, le telecomunicazioni e l’alimentare sono stati collocati sul mercato, a mio avviso, senza ottenere il massimo risultato possibile, anzi.

Ma tant’è! Oggi, il Governo cosiddetto liberale di un presidente quasi monopolista nel settore televisivo vuole nuovamente entrare nell’economia non per regolarla, ma per favorire amici, speriamo onesti e non appartenenti alla cricca. Ma i dubbi, considerando il passato recente, permangono tutti.

Se tutto rimane in un sano principio di regole, sono ben contento che asset fondamentali per la nostra immagine e la nostra economia restino italiani. Avviene così in Francia (ricordare l’assalto fallito del gruppo De Benedetti alla Société Générale e dei giapponesi all’industria dell’auto), in Germania (G.M. che ha resistito a Fiat), negli Stati Uniti (Chrysler resta americana e la Fiat rischia di essere inglobata di fatto). Niente pasticci, allora.

Prendiamo, ad esempio, Parmalat ed Alitalia, risanate sulle spalle dei risparmiatori e dei lavoratori: sarebbe inconcepibile che vadano in mano a società straniere, non solo perché rappresentano il made in Italy, ma perché sarebbe ingiusto e pericoloso anche per l’occupazione. Da qui ad augurarsi che Tremonti e Berlusconi pensino all’intervento dello Stato (Cassa Depositi e Prestiti) per riprendere a produrre merendine, latte o yogurt, ce ne corre.

Il mercato è un caposaldo dell’economia moderna, ma le autorità di controllo, da Banca d’Italia all’Antitrust, facciano fino in fondo il loro lavoro. Spesso hanno chiuso gli occhi e la nostra economia ha rischiato di esplodere. Ricordate i bond argentini, Cirio, Parmalat… Dove erano i controllori? Per caso sono ancora al loro posto?

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