Un costume italiano

Nel nostro Paese la scelta di affrancarsi dalla famiglia avviene molto tardi:dopo i 30 anni. Solo Irlanda e Spagna competono con noi per aggiudicarsi questo primato,non certo invidiabile,che sposta troppo in avanti l’inizio della vita adulta.
In Francia,Gran Bretagna,Svezia e Germania il cordone ombelicale con la famiglia si taglia molto prima.
Il motivo va ricercato in modelli culturali italiani diversi da quelli di altri Paesi,ma anche in sistemi di Stato sociale più evoluti che facilitano l’abbandono della famiglia di origine.
Nella fascia di età compresa tra i 20 e i 30 anni restano in famiglia il 70% di giovani in Italia,il 61% in Irlanda,il 72% in Spagna mentre in Francia la percentuale è del 35%,in Gran Bretagna del 28% e in Svezia si attesta al 18%.
A sostenere questo costume nostrano viene in supporto anche la giurisprudenza dei nostri tribunali che,ad esempio,ha condannato un genitore a mantenere il figlio trentenne sprovvisto di lavoro.
Va evidenziato come il nostro sistema di assistenza sociale non preveda,per gli studenti e per chi è alla ricerca di un’occupazione,alcun sussidio statale,per cui rimanere in famiglia è spesso una scelta coatta.
La durata degli studi in Italia è tra le più lunghe,se rapportata a quella di altri Paesi come ad esempio la Francia o l’Inghilterra:il nastro del traguardo della laurea si taglia,per usare un linguaggio sportivo,tra i 25 e i 30 anni.
Un altro motivo è di tipo religioso;infatti nei Paesi dove la religione prevalente è quella cattolica,come il nostro,è il matrimonio il principale motivo per diventare autonomi.
Vi sono poi ragioni economiche e sociali all’origine di questa lunga adolescenza. Gran parte delle famiglie italiane non può permettersi,soprattutto oggi in una fase storica contrassegnata dalla più grave recessione degli ultimi 80 anni,di sostenere le spese di un figlio fuori casa.
Altrove,ad esempio nel nord Europa,le borse di studio e un sistema di welfare per i giovani fanno sì che sia anomalo che un ragazzo o una ragazza resti in famiglia.
Diverso è anche il panorama immobiliare:dove gli affitti sono accessibili i giovani se ne vanno.
Gioca contro la vita autonoma anche la diffusione in Italia della precarietà lavorativa o,nel caso di chi un lavoro stabile lo ha,uno stipendio troppo basso e quindi inadeguato per liberarsi dal giogo familiare.
Un’analisi dell’Istituto di studi e analisi economica(Isae)dimostra come un lavoro e una retribuzione adeguata al costo della vita siano alla base della scelta di lasciare il nido familiare in tutti i Paesi europei.
Vi è poi un 44% di giovani che rimane in famiglia perché si trova bene avendo ugualmente la propria libertà. La paura di volare colpisce più i maschi che le ragazze.
Parlare di “bamboccioni” è quindi semplicistico;la condizione giovanile deve diventare la priorità nel dibattito politico e nell’agenda del governo nell’anno appena iniziato.

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