Il laghetto di montagna di padre Trento, e i movimenti per la vita crocifissa

Dimenticare la risurrezione del Cristo e preferire vederlo solo sulla croce, è un gravissimo errore che commettono molti cristiani. Del resto, vederlo in croce, il Cristo, ci rassicura. E' lì, sulla croce, che il Signore soffre per noi, per la nostra salvezza. Oltre a salvarci, in qualche modo ci libera anche dai sensi di colpa. Se poi c'è un nostro simile che soffre e che il Cristo in croce ce lo mostra in carne e ossa, qui e ora, ci sentiamo ancora più rassicurati: non c'è bisogno che siamo noi personalmente a sacrificarci, a pagare per le nostre colpe, giacché c'è chi lo fa al posto nostro. Le conseguenze di questo modo di pensare, magari inconscio, possono essere pericolose, se non addirittura nefaste.

In Verbi Sponsa (Istruzione sulla vita contemplativa e la clausura della monache) leggiamo: ” Le contemplative claustrali, in modo specifico e radicale, si conformano a Gesù Cristo in preghiera sul monte e al suo mistero pasquale…Al dono di Cristo-Sposo, che sulla croce ha offerto tutto il suo corpo, la monaca risponde similmente con il dono del suo corpo, offrendosi con Gesù Cristo al Padre e collaborando all’opera della redenzione” (N. 3). Ecco: le monache, in fondo, sacrificandosi per noi e al posto nostro, ci rendono un bel servizio. Si dà il caso però che l’atto redentore di Cristo fu perfetto e sovrabbondante, e che Gesù non chiese mai a nessuno di collaborare all'opera della redenzione.

Ma se le cose stanno così, se coloro che soffrono, volontariamente o involontariamente, sono cristi in croce, non viene abbastanza naturale augurarsi, magari inconsciamente, che ci sia sempre qualcuno che soffra per noi e al posto nostro?

Nel mese di settembre del 2008, padre Aldo Trento, missionario in Paraguay, divulgava la fotografia impressionante (Tempi.it 23 settembre 2008) di un bambino irrimediabilmente malato, e riferiva: «Il piccolo Victor di un anno…geme in continuazione… mmm, ah, ah, ah…La sua testa è enorme e come d’improvviso la parte inferiore è sprofondata lasciando una piccola fossa, lì dove non ha il cranio…Attraverso l’apparato messogli dai medici, è uscita tutta l’acqua della testa…l’altro giorno gli è scappato l’occhio destro: è rimasta una cavità vuota che spurga di tutto…Victor, il mio bambino, non solo è un piccolo cadaverino che vive, ma è tutto deformato, lacerato, pieno di cannucce che entrano ed escono dal corpo…Il mondo dice: perché non lo lasciate morire?…Victor è Gesù, il mio piccolo Gesù che agonizza, che soffre, che geme…Lo bacio, lo bacio sempre… i gemiti si calmano. Gli accarezzo la fronte… non più testa ormai, sgonfiata, con la pelle infossata, come un laghetto di montagna…e sento che accarezzo Gesù…Come vorrei che questo scritto con la foto arrivasse a chi ha deciso che Eluana “deve” morire. No, non può morire se Dio non ha ancora deciso. La vita è sua, di Dio… se la uccidiamo saremo tutti più poveri e disgraziati». Ecco: padre Trento aveva il suo piccolo cristo in croce che soffriva per lui e al posto suo. Per noi e al posto nostro. Il piccolo Gesù agonizzante da baciare e coccolare. E così giunge a pensare che quei tubicini, quegli apparati sofisticati per tenerlo in vita per forza, in continua agonia, siano voluti da Dio, che sia Dio ad aver deciso di non volerlo subito in cielo. Deve restare ancora sulla terra a soffrire. Per farci sentire meglio.

Eluana Englaro non sembra soffrisse, ma era pur sempre un cristo in croce da accarezzare e coccolare. Perché non tenerla in vita il più a lungo possibile? Questo modo di pensare spinge oggi i movimenti per la vita ad esultare poiché il Governo ha istituito la Giornata nazionale degli stati vegetativi, per il 9 febbraio, data in cui ad Eluana fu restituita la pace. Movimenti per la vita, oppure per la vita crocifissa?

Renato Pierri e Miriam Della Croce

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