Il Covid 19, non del tutto annientato, costringe gli Stati cosiddetti sviluppati a porre in rilievo anche la Scuola discutendo delle misure precauzionali da porre in atto al fine di evitare l’eventuale propagarsi del contagio in vista del ritorno alla normalità scolastica. Ed è, per i suddetti Stati, una situazione di gran lunga meno problematica rispetto a quella dei Paesi a medio e basso reddito dove, entro il 2030, era stata prevista per tutti la garanzia della scuola. Un iter che il Covid 19 hafermato.
Ma restringiamo il discorso riportandolo alla situazione della nostra Scuola, aperta a tutti da lungo tempo, quindi con possibilità formative a nessun soggetto negate, per il cui conseguimento necessitano, però, ai giovani, come evidenziato dal filologo e saggista Luciano Canfora in una intervista (maggio 2007), difficoltà e fatica con le quali soltanto si verifica la crescita della mente, non con “la dolcezza pedagogica”. E da decenni lontani la Scuola sembra essersi allontanata dall’obiettivo precipuo che è quello di formare menti critiche, vieppiù oggi con una ‘ragnatela globale’ che ci inonda di informazioni di ogni sorta e con una società globalizzata che ha come obiettivo precipuo l’economico.
La preoccupazione maggiore è divenuta pertanto di non far sfibrare, con discipline ritenute a quell’obiettivo inutili, i neuroni di quanti frequentano la Scuola, poiché quel che importa è una formazione in funzione del contributo che si potrà dare alla redditività, come richiesto dalle esigenze aziendali. Con siffatta finalità possono quindi essere trascurate le discipline umanistiche, ugualmente storia e filosofia, ritenute inservibili alla redditività.
Ci sorge il dubbio che si voglia asfaltare la speculazione intellettuale, lo spirito critico, quel pensiero “laterale” o “divergente”, come lo chiama Joy Paul Guilford, in grado di cogliere in modo sempre nuovo i rapporti tra le cose e le idee.
La Scuola doveva diventare democratica, ma non per questo abbassarsi. Era il pensiero di Concetto Marchesi, latinista e politico comunista, sostenitore del latino nella Scuola Media Unificata (si stava già negli anni Cinquanta di essa discutendo), quindi di una Scuola il cui compito sarebbe dovuto essere di impegnarsi ad elevare chi era in basso, non di livellare tutti verso il basso.
Possiamo trarre oggi le deduzioni di siffatto livellamento riflettendo sulle generali capacità raziocinanti che i social (non sono essi responsabili) hanno soltanto fatto rimbalzare con rilievo maggiore.
La validità del ragionare matematico è fuor di dubbio, ma è cosa ben diversa che realizza meglio l’IA (Intelligenza Artificiale) dando scacco matto al sapiens, non sta dunque in esso la specificità dell’essere umano ma nel porre in atto il lobo destro del cervello in sinergia con quello sinistro, come, tra gli altri, sostiene Daniel Goleman. E Luciano Canfora a proposito dello studio delle lingue classiche, sempre nella suddetta intervista, precisa: “Tradurre una lingua come il greco, come il latino, esige un salto intuitivo dalla successione delle parole al senso complessivo di ogni periodo ed è quello l’esercizio più importante… un procedimento mentale di grandissima utilità, rispetto al quale il problema del ‘a che mi serve?’ perde qualunque significato perché quell’esercizio mi sarà stato preziosissimo, quale che sia il mio abituale impiego di quella elasticità mentale che avrò conquistato”. Aggiungiamo che ‘i nativi digitali’ sono sì costretti ad orientarsi in un mondo complesso ma che richiede la semplificazione per una fruizione immediata, e ciò a scapito di quel riflettere che porta a una interpretazione fondata sul senso critico.
Il filosofo Evandro Agazzi afferma: “La Scuola aiuta i giovani se riesce a insegnare loro il senso critico”. E il divulgatore scientifico Danilo Mainardi rilevava: “Una società globalizzata si governa meglio se è fatta di persone con poco senso critico”.
Conviene meditare: gli USA lo stanno facendo valorizzando lo studio delle lingue classiche.
Antonietta Benagiano