a cura di Paolo De Gregorio
La prima cosa di cui rendersi conto quando si parla di calcio è che non è uno sport, bensì un grande affare economico e mediatico che risponde a leggi di mercato (quindi non sportive), che esprime nella sua classe dirigente impudenti imbroglioni tipo Cragnotti, Tanzi, Berlusconi, Gaucci, Moggi, Sibilia, Ferlaino, pronti ad usare la corruzione pur di vincere (sempre regole del mercato) e attira e calamita nel fenomeno degli “ultras” la parte più becera, ignorante, fascista, distruttiva, frustrata dei giovani italiani che credono di contare qualcosa dietro i colori di quelle che invece di squadre sportive sono SPA (società per azioni), che consentono profitti e visibilità politica solo ai padroni delle medesime.
La complicità della politica con questa situazione evidentissima: malgrado i politici abbiano tutti i poteri per deliberare regole nuove, proprio alla luce della storia che si ripete da decenni con gli scontri programmati tra tifoserie o con le forze dell’ordine, nulla è stato fatto per fermare drasticamente questo rituale.
Eppure non ci vorrebbe niente, e a costo zero, anzi ci sarebbe un notevolissimo risparmio per lo Stato che deve pagare fior di straordinari alle forze di polizia che devono presidiare tutti gli stadi, e si risparmierebbero anche le devastazioni di treni e cose pubbliche, anche esse rituali accettati delle domeniche in trasferta.
La regoletta semplice semplice, se veramente si avessero a cuore i bilanci pubblici e la eliminazione di questa endemica violenza, è quella (ferrea) di far entrare negli stadi solo gli abbonati (eliminando la vendita dei biglietti), e il servizio d’ordine interno affidato esclusivamente ad una organizzazione di fiducia della squadra, meglio se di volontari, con la “responsabilità oggettiva” di far andare bene le cose.
Oggi gli stadi sono una scuola di violenza e riflettono la cultura e gli interessi aggressivi e spregiudicati del capitalismo e del mercato, formando cittadini perfetti per una società ferocemente competitiva, di vincitori e di vinti,dove vince la forza del denaro, e dove la frustrazione dei vinti, i più, si trasforma in violenza.
Questo circo degli orrori non si ferma solo perché le forze economiche che lo gestiscono dominano anche la politica.
Paolo De Gregorio
Allego un documento che ho scritto lo scorso anno che ritengo tuttora attuale.
QUELLI CHE IL CALCIO (dossier)
a cura di Paolo De Gregorio – 25.08.2006
Se qualcuno dubitasse della validità della vecchia affermazione marxista che “le idee dominanti sono quelle della classe dominante”, avrebbe una illuminazione osservando come il mondo del calcio, e dello sport in generale, sia stato fagocitato, stravolto, privato dell’anima, e piegato al servizio delle forze economiche dominanti che hanno deciso di impossessarsene, proiettando in esso la propria cultura del profitto, sfruttamento, mercato, corruzione, voglia di vincere ad ogni costo.
L’ingresso massiccio del grande capitale nel mondo dello sport è relativamente recente e corrisponde alla fase in cui il mezzo televisivo rese popolare e di massa alcuni sport (oltre al calcio, ciclismo, basket, tennis, atletica), alla fine degli anni ’70 e i primi ’80, e si prospettò così la possibilità di creare un mercato in cui si mischiavano pubblicità, diritti televisivi, visibilità politica, ambizioni personali, stravolgendo ed annullando ogni etica sportiva.
La facilità con cui si svolse questo epocale passaggio dallo Sport agli affari e fece di organizzazioni ricadenti sotto il diritto sportivo delle SpA quotate in Borsa, ci fa capire senza equivoci che i partiti di sinistra accettarono senza fare una piega questa rivoluzione Copernicana, e la evidente ideologia per cui la vittoria spettava a chi possedeva più denaro, e la creazione di figure di presidenti che, come principi rinascimentali e mecenati, ricevevano investiture di capi, non trovò alcuna opposizione né sociale né politica.
L’illusione dei frustrati di vincere qualcosa per interposta persona avallò il riconoscimento della figura del capitalista Principe e delle ferree leggi dell’economia,anche da parte di chi era politicamente schierato in senso anticapitalista.
Così la più grande operazione di colonizzazione del mondo sportivo passò senza grandi sussulti, e molto presto si arrivò alla fine dello sport inteso come lealtà, confronto alla pari, attaccamento ai colori sociali, lavoro sui vivai, per aprire le porte all’assurdo mercato miliardario degli stranieri, doping programmato dalle società, corruzione di arbitri, lotte al coltello per i diritti televisivi, e soprattutto la possibilità di vittoria solo per quelle 3 o 4 squadre con dietro i maggiori gruppi industriali.
Le idee e la prassi degli imprenditori, la loro vera cultura, si trasferisce così nelle masse dei tifosi, ed è diventata ideologia e cultura di massa, fino ad essere stata determinante nella elezione di Berlusconi a Capo del governo italiano.
Televisioni commerciali, pubblicità, sport colonizzato, in profonda sinergia tra loro, fabbricano l’intima identità ideologica di milioni di persone e ne fanno elementi che si adattano perfettamente alla società attuale.
E ciò accade soprattutto in quei ceti sociali operai, giovani emarginati, disoccupati, perdenti che, una volta venuta meno la speranza di una società diversa per la crisi identitaria della sinistra, riversano nella propria squadra il desiderio di protagonismo e di vittoria, frustrato nella vita reale.
Non va sottovalutato il peso che ha nella formazione di milioni di giovani il fatto che si vincoli la propria emozionalità e il senso di appartenenza ad una entità sociale, a una realtà in cui si praticano loschi affari, doping, corruzione, si fabbricano carriere politiche, si finanzia la violenza degli ultras e quanto altro sappiamo dalle aule giudiziarie.
Ma se parli con qualche giovane “tifoso” e gli chiedi se non trova ridicolo il fatto di tifare per una SpA gestita da freddi calcoli economici e da dirigenti che entrano ed escono da tribunali e che lo sport non c’entra niente, ti rispondono che tanto tutta la società è così, e che la propria squadra è una “fede” e il gruppo della curva è l’unico gruppo sociale di riferimento.
Credo proprio che dal “panem et circenses”degli antichi romani al nostro sfavillante circo calcistico, non vi sia alcuna differenza, e la continuità culturale si vede nell’esaltazione di valori primitivi e selvaggi quali la vittoria sul nemico (avversario), l’esaltazione del più forte, l’irrisione dei perdenti,, il facile ricorso alla violenza e alla devastazione in caso di sconfitta.
E se vediamo con chiarezza che tipo di soggetti sociali e quale darwiniana cultura nasce dallo spettacolo sportivo in mano ai capitalisti, vogliamo pensare positivo e immaginare che una diversa gestione del fenomeno possa produrre effetti diversi.
Lo sport, tutti gli sport, celebrano il più forte e soprattutto i più dotati da madre natura in fatto di qualità delle loro fibre muscolari, ma in passato la gloria sportiva, sganciata dal denaro, si viveva in modo meno drammatico, più umano e sereno e si pensava anche a carriere brevi per non pregiudicare il futuro di studio o di lavoro.
L’ingresso dell’onnipotente denaro, in quantità tali da cambiarti la vita,ha trasformato una attività ludica, con dentro alcuni valori come lealtà, sportività, sacrificio personale, in un lavoro in cui il datore di lavoro, come avviene in ogni attività industriale, ha imposto carichi di lavoro disumani, assunzione di sostanze legali o illegali capaci di massimizzare la resa del proprio investimento, disprezzo per la salute futura degli atleti, trattamento delle persone come pacchi da spostare qua o là, senza preavviso per esigenza di mercato, distruzione di ogni autentico sentimento di appartenenza, pratica del licenziamento rapido in caso di infortuni o resa non più brillante.
Così abbiamo fabbricato gladiatori strapagati, gonfiati artificialmente, che vagano da una squadra all’altra per il mondo globalizzato, senza altro stimolo che il denaro e ce li ritroviamo a fine carriera malati nel fisico e nel cervello, spesso disadattati e inclini al suicidio.
La “psicologia di massa” alimentata dal tifo calcistico, attira inesorabilmente fasce di estremisti politici, di violenti, che fanno della domenica calcistica il loro personale palcoscenico con parole d’ordine di odio e di razzismo, con la programmazione delle trasferte con strategia di “guerra” contro i “nemici”, interpretando e drammatizzando la vicenda sportiva in modo profondamente patologico.
E a coloro che sostengono che lo sport è educativo io rispondo è vero: è educativo quello fatto per la propria salute e divertimento, senza esagerazioni, senza “aiutini chimici”, con agonismo leale e sorridente.
Tutto quello fatto, invece, con il miraggio dell’eccellenza e del denaro, dove trovi allenatori e medici sportivi e familiari che già a 13 anni ti spingono ad usare farmaci pericolosi per la salute e che ti spingeranno ad allenamenti massacranti, è altrettanto “educativo” perché ti forma anch’esso, ma espone la tua salute mentale e fisica a gravi pericoli.
La sensazione di irrazionalità e di degrado morale che l’osservazione ragionata del mondo dello sport suggerisce, rende urgente una strategia che tocchi il cuore della questione, ossia il totale dominio industriale sulla gestione dello sport.
Per quanto riguarda il calcio, la famosa pulizia che si doveva fare dopo lo scandalo della “cupola Moggi” non ha toccato minimamente le cause del malcostume e presto industriali e faccendieri ritireranno fuori le unghie.
Se desideriamo che il gioco del calcio sia una attività positiva e che l’ambiente sportivo sia palestra di democrazia e partecipazione, dobbiamo ragionare sulle seguenti basi.
– Il calcio non è un lavoro e il rapporto tra la Società e l’atleta ricade esclusivamente nelle regole del diritto sportivo
– Nei campionati di tutte le serie è vietato il tesseramento di giocatori stranieri. Senza se e senza ma
– Le società sportive non possono essere SpA e devono accettare soltanto le regole del diritto sportivo
– Le società devono affidare l’elezione dei propri dirigenti ai tesserati e ai sottoscrittori di abbonamento, che sono i veri azionisti , spesso competenti, con la stessa procedura democratica di elezioni generali
– Le società non devono avere fini di lucro e l’obiettivo deve essere il pareggio di bilancio
– I proventi dei diritti televisivi e del totocalcio devono essere distribuiti alle società di A e di B in modo rigorosamente paritetico
– Il mercato dei calciatori, come oggi lo conosciamo, deve essere abolito, l’equazione “ricchezza-vittoria” annullata, i giocatori non possono essere comprati né venduti, ma fabbricati nei vivai delle società che devono essere soprattutto “scuole di calcio”, e dedicare ad esse i migliori preparatori e ingenti risorse
– Sarebbe utilissimo che le grandi società diventassero proprietarie degli stadi, e svolgessero lì la loro attività sociale, con sale per assemblee, palestre, piscine, uffici amministrativi, per fare degli stadi una realtà viva e partecipata
– Bisognerebbe anche liberare le ingenti forze dell’ordine che durante le partite garantiscono la sicurezza degli stati, e affidare il servizio d’ordine ai tesserati, da individuare tra i più seri e responsabili, che così difenderebbero una loro proprietà e il buon nome della squadra
– Stabilire semplici regole per eliminare tutte le trasferte e rendere gli stadi tranquilli: i biglietti possono essere venduti esclusivamente ai residenti con carta di identità e nome e cognome sul biglietto che rimane personale, e stessa procedura allo stadio, si entra solo con carta di identità e biglietto nominale (i politicanti, anche in presenza di gravi fatti di sangue, scontri, devastazioni di treni, non hanno mai fatto una proposta del genere per fermare la violenza)
– Deve finire la dicotomia Federazione/Lega Calcio. I presidenti delle squadre di A e di B devono prendere tutte le decisioni a maggioranza semplice, senza figure di segretari tipo Carraro o Galliani che hanno fatto della dirigenza calcio potentati personali
Sono sicuro che queste norme sarebbero condivise da moltissima gente, se solo se ne potesse parlare. Le persone con cui ho discusso e fatto leggere questo breve documento, di tutte le estrazioni sociali, sono d’accordo.
Buttare fuori i capitalisti e gli affari dal calcio può dare un senso al proprio tifo e alla passione sportiva e sono sicuro che i giocatori, creati dalle società, anche se pagati poco, avrebbero infinitamente più entusiasmo e voglia di giocare, soprattutto se intorno a loro ci fosse un clima di partecipazione e di sostegno.
Autogestire gli stadi, eleggere i dirigenti, svolgere il servizio d’ordine, far quadrare i conti, seguire i vivai, significa portare la democrazia dentro i fatti. Perché la democrazia si impara praticandola, partecipando, gestendo le cose, selezionando le persone migliori senza creare capi carismatici o figure inamovibili.
Se continuiamo ad affidare tutti i poteri a chi già li possiede, non siamo che sudditi passivi, sciocchi e senza futuro.(Arcoiris)