Il massacro del 1988 in Iran: prima sessione del processo a Hamid Noury in Albania. Testimonianza di Mohammad Zand

Il massacro del 1988 in Iran: prima sessione del processo a Hamid Noury in Albania. Testimonianza di Mohammad Zand

Prima sessione del processo a Hamid Noury in Albania. Testimonianza di Mohammad Zand

L’ex prigioniero politico iraniano Mohammad Zand ha testimoniato mercoledì 10 novembre in una sessione del processo di Hamid Noury, alias Abbassi, in Albania. Il processo di Noury si è trasferito dalla Svezia all’Albania per ascoltare le testimonianze di 7 membri del Mojahedin-e Khalq (MEK) ad Ashraf 3, tra cui Mohammad Zand.

Hamid Noury ​​è stato arrestato nel 2019 per il suo ruolo nel massacro di oltre 30.000 prigionieri politici in Iran nel 1988. Questi sette membri del MEK assistettero alla condotta criminale di Noury ​​durante il massacro nella prigione di Gohardasht.

Nell’estate del 1988, oltre 30.000 prigionieri politici, per lo più membri del MEK, furono condannati all’esecuzione dalle cosiddette ‘Commissioni della morte’ e sulla base di una fatwa dell’allora leader supremo del regime, Ruhollah Khomeini. L’attuale presidente del regime di Teheran, Ebrahim Raisi, era un membro chiave della ‘Commissione della morte’ di Teheran, che aveva il compito di identificare i membri “decisi” del MEK e condannarli a morte. Hamid Noury ​​era uno dei funzionari della prigione attivi in ​​quel massacro.

I paragrafi seguenti sono alcuni estratti della scioccante testimonianza di Mohammad Zand mercoledì 10 novembre.

Mohammad Zand fu arrestato nel 1981 e trascorse 11 anni in prigione per avere sostenuto il MEK. Suo fratello, Reza Zand, fu giustiziato durante il massacro del 1988.

“Il 28 luglio 1988, le autorità carcerarie smisero di darci giornali”, ha detto Mohammad Zand, aggiungendo che quando Reza Zand e molti altri prigionieri protestarono contro quella decisione, furono picchiati.

“Davood Lashgari [un torturatore] ci portò fuori dalla cella nel corridoio. Ci bendò gli occhi e ci chiese quale fosse la nostra imputazione. Non appena dicemmo che eravamo sostenitori del MEK, le guardie iniziarono a picchiarci”, ha detto Zand.

“Una guardia carceraria, Davood, che era stata addestrata nelle arti marziali, mi prese a calci su un piede e mi ruppe un dito del piede. Continuarono a picchiarci per un’ora.”

Secondo Zand, dopo un’ora di percosse, Lashgari fece ai prigionieri la stessa domanda sulle loro imputazioni; quando dicevano “sostenitori del MEK”, diceva loro: “Tornate nelle vostre celle. Giovedì veniamo a prendervi”.

“Quando tornai in reparto, ero in pessime condizioni. Mio fratello, Reza, mi vide e disse che ero molto malato. Stavo cadendo a terra quando Gholam-Hossein Eskandari e Ramin Ghasemi mi aiutarono ad andare alle docce, dove vomitai. Quella notte cercai di dormire con quel dolore”, ha detto il signor Zand.

“Venerdì 29 luglio spensero la TV e vietarono qualsiasi passeggio all’aperto. Mio fratello, Reza Zand, stava camminando con Mahmoud Royayie e disse che questo andava oltre le normali molestie. ‘Dobbiamo protestare’, aggiunse”. Reza Zand aveva 21 anni ed era uno studente universitario di Tecnologia. Fu arrestato nel settembre del 1981 insieme al suo amico Parvis Sharifi. Entrambi furono giustiziati durante il massacro del 1988.

Quando Mohammad Zand chiese a Reza perché pensava che la situazione non fosse normale, Reza disse: “Non ricordi cosa hanno fatto a Masoud Moghbeli?”. Moghbeli era stato trasferito al cosiddetto ‘Comitato congiunto’ nel marzo del 1988 per essere rilasciato. Le autorità gli avevano chiesto di rilasciare un’intervista, che rifiutò. Così gli dissero: “Vai a dire ai tuoi amici che verremo presto a prenderti”.

“Nel nostro ultimo incontro con nostra madre, Reza le disse ‘Non mi vedrai più. Questo regime non ci lascerà liberi’”, ha detto Zand.

“Il 30 luglio, la guardia carceraria entrò e chiamò otto nomi, incluso il nome di Reza”, ha detto Zand. “Mi dette il suo anello e il suo rosario e mi disse di tenerli per ricordarlo. Io rifiutai di prenderli, così li dette a un altro prigioniero e disse: “Addio. Per noi è finita.’”

Secondo Zand, intorno alle 11, Hassan Ashrafian, un altro sostenitore del MEK, vide Lashgari e diversi agenti in borghese portare una carriola piena di cappi. Più tardi, anche Zand li vide.

“Due o tre ore dopo, sentimmo gridare ‘Morte ai Monafegh’ [un termine dispregiativo che il regime usa per riferirsi ai membri del MEK]”, ricorda Zand.

“Le esecuzioni iniziarono il 30 luglio 1988. Giustiziarono prima i prigionieri trasferiti da Mashhad, tra cui Jafar Hashemi e il dottor Mohsen Ghafour Maghrebi. Questi prigionieri avevano difeso apertamente la loro identità di sostenitori del MEK”.

“Il 30 luglio giustiziarono coloro che si rifiutavano di rilasciare interviste, inclusi Halal Layeghi e Mahshid Razaghi. Quest’ultimo era un membro della squadra nazionale di calcio iraniana. Il 31 luglio, le guardie vennero e presero i prigionieri che provenivano da Karaj. Questi prigionieri erano: Mehrdad Samadzadeh, Mehrdad Ardebili, Hossein Bahri, Zeinolabedin Afshun, Mohammad Farmani e Ali Osati, che era un mio caro amico”, ha testimoniato Zand, secondo il quale tutti loro furono “successivamente giustiziati”.

“Il 5 agosto portarono Gholamhossein Feiz nel nostro reparto. Lui disse che le esecuzioni erano iniziate e che ne era venuto a conoscenza mentre era in isolamento”. Gholamhossein Feiz disse a Zand: “Se mi portano alla Commissione della morte, difenderò il mio sostegno al MEK”. Feiz fu giustiziato il 6 agosto.

Il primo incontro con la ‘Commissione della morte’

Zand poco dopo fu portato alla ‘Commissione della morte’. Lì, Hossainali Nayeri chiese se voleva essere perdonato da Khomeini o no.

“Dissi ‘La mia condanna finirà presto, e perché avete giustiziato mio fratello? Sarebbe stato rilasciato in tre anni’”, ricorda Zand. Fu portato in un’altra sala. “Lì, potevo sentire le voci di Lashgari, Hamid Abbassi [Noury] e Naserian”.

Secondo Zand, “Lashgari venne e chiamò diversi nomi e portò quei prigionieri nell’anfiteatro, dove furono giustiziati. Portarono Nasser Mansouri al patibolo, sebbene fosse paralizzato”. L’anfiteatro, o “Hossainieh”, divenne in seguito noto come “sala della morte”.

“Dopo circa mezz’ora, vidi Mahmoud Zaki. Gli chiesi ‘Cosa hai detto quando hanno chiesto le tue imputazioni?’. Rispose: ‘Ho detto che sono un sostenitore del MEK’. Poi ci disse: “Le uccisioni sono iniziate. Il mio dovere è difendere la mia identità di sostenitore del MEK’. Anche Ali Haghverdi, che era con noi, disse la stessa cosa.

Il secondo incontro con la ‘Commissione della morte’

Zand ha dichiarato: “Il 13 agosto fui portato di nuovo alla ‘Commissione della morte’. Sfortunatamente, non potei difendere la mia identità di sostenitore del MEK. Quando in seguito mi unii al MEK in Iraq, dissi loro quello che avevo visto e decisi di continuare a lottare per la libertà”.

Zand fu poi portato in isolamento e vi trascorse circa tre mesi. Fu trasferito nel reparto generale e la prima persona che vide fu Mahmoud Royaie. “Per quanto ne so, sei l’ultimo”, disse Mahmoud a Zand. “Prima c’erano 160-170 prigionieri in quel reparto. Di tutti i prigionieri di Gohardasht, pochi sono rimasti”.

“Mi fu permesso di incontrare i miei genitori e mia sorella dieci giorni dopo. Quando mi chiesero dove fosse Reza, risposi: “Andate a chiedere a loro”, ha detto Zand.

“Dopo alcuni giorni, chiamarono mio padre e gli dissero di andare alla prigione di Evin con i documenti di identità di Reza. Lui andò alla prigione senza i documenti”, ha detto Zand. “Lì, gli consegnarono una borsa, una maglietta e un orologio. Reza aveva rotto l’orologio che indicava le due per indicare a che ora era stato giustiziato”.

Le autorità del regime cercarono di intimidire il padre di Zand, gli dissero di non tenere alcuna cerimonia e gli intimarono di dare loro i documenti di identità di Reza. “Quando si rifiutò, iniziarono a picchiarlo e organizzarono una finta esecuzione per lui. Ma lui disse: ‘Giustiziatemi. Mi unirò a mio figlio’.”

Contemporaneamente a questa udienza del processo, numerosi sopravvissuti al massacro del 1988 e familiari delle vittime si sono riuniti davanti al tribunale distrettuale di Durazzo. Hanno anche condiviso le loro storie con la stampa e hanno fatto luce sui crimini del regime contro l’umanità.

I membri del MEK ad Ashraf 3 hanno tenuto un raduno in memoria dei martiri del massacro del 1988, in coincidenza con il processo a Hamid Noury. Alcuni prigionieri politici hanno parlato a questo evento e hanno condiviso ciò a cui avevano assistito nelle segrete del regime. Ci sono centinaia di ex prigionieri politici iraniani ad Ashraf, molti dei quali erano pronti a testimoniare nel processo a Noury. Tuttavia, a causa della limitazione nel tempo, solo pochi, come Mohammad Reza Zand, sono stati accettati come testimoni nel caso.

 

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