Dante letto male, conosciuto poco, scolarizzato da incolti e nonostante tutto resta il  primo tragico italiano tra Occidente e Oriente

Pierfranco Bruni

Se Dante ha segnato il traghettamento del mito nel sacro ha commesso un errore di moralità. Il mondo pagano è un errare tra gli dei, il mortale del gregge e l’immortalità. Dante assumendosi, con Agostino, la responsabilità del passaggio Dei – Santi ha commesso l’errore ontologico di una antropologia dei riti. I riti pagani non possono essere assimilabili a quelli sacri. Il sacro è un copia e incolla del mito della Caverna e del  post Platone.

Il Nietzsche del sottosuolo, ovvero platonico e  dostoevskijano, è già nello stoico Pavese che di tragedia ha fatto filosofia. Il mito ha dato voce al penare. Il sacro, invece, al dolore. Ma il sacro ha filtrato quasi il tutto ancestrale del mito.

Spesso si dimentica che il cristianesimo nasce grazie alla grecità, e di questa si impossessa della metafisica attraverso sia l’errante Paolo di Tarso, mai santo e sempre mago, e di Agostino che volle imitare Paolo tra la nevrastenia del perdono che per esistere si inventò il peccato. Cosa c’entra Dante? È il tramite che occidentalizza ciò che sono stati gli dei Mediterranei e Greci d’Oriente. Poi mischia le carte del mazzo delle culture e tira fuori Virgilio, la misericordia e Lucia con Maria e Bernardo oltre che la maschera di Beatrice. Solo un grande maestro poteva fare ciò. E Dante lo è. Mediterraneo tra Platone Socrate Machiavelli  Leopardi Schopenauur Nietzsche Gentile e Severino.

Anche in Dante dominano i demoni. Poi però arriva l’esilio. I demoni sono il nostro sottosuolo. Morti o in salvezza. Sepolti o in volo. I demoni sono la contrapposizione degli dei o della santità? Le stelle continueranno a danzare ancora. I dervisci non smetteranno di guardare il cielo e anche loro nel rito della tradizione di Persia, e dell’incontro tra Oriente e Occidente, danzeranno sempre. Oltre ogni prospettiva tra les fleurs e il perduto amore l’era delle epoche si farà cura e l’anima non varcherà se non il limite del non consentito.

La filosofia non è mai una comunicazione. È l’empatia di una comparazione tra il tragico e il penare dentro la fenomeno-logia dell’essere vivi o memoria nel tempo che allontana la prassi e ci fa essere Greci anche dopo Seneca e Agostino.

Ma sono Dostoevskij e Nietzsche che toccano l’uomo infinito e la finità dell’esistenza in una centralità che conduce ad abitare il pensiero e mai la storia. Come accade nella metafisica di Dante. Kierkegaard resta agonia e malattia mortale. In tutto questo gli dei restano mito e sono stati immortali. Il sacro è meno del mito perché è diventato soltanto religione. Dante ciò lo sapeva bene. La filosofia in Dante diventa dissolvenza nel momento in cui crolla il mito e la sola religione non basta più. Nel mito campeggia l’ironia del riso e del sorriso. Nel sacro il peccato e il perdono sono una falsa uscita di sicurezza. Gli dei non conoscono il peccato perché non hanno bisogno del perdono. Il sacro si regge in controversia nella controversia. Supera la conoscenza perché scava nel tessuto della gnosi in una metafisica dei saperi.

I saperi non sono conoscenza. Si allargano nel mistero ma il mistero è altro proprio perché insiste una fenomenologia dell’uomo come centralità del labirinto Essere. La filosofia e l’Uno. Non il Due.  È destorizzare il momento nell’istante. È potenziare il sapere dell’anima nella poetica del Tempo finito nell’infinito. Cercare l’aurora non è trovarla. La poesia ci illude di poterla trovare. La filosofia di poterla cercare. Oltre la spiritualità della cerca di un infinito che sa intrecciare gli orizzonti della saggezza araba nel mare che lega i Mediterranei alla Sicilia greca e araba.

La Grecia è l’ontologia degli immortali come gli dei che lottano i demoni. Solo il sottosuolo sarà salvezza. Ma la salvezza è morta al di là del bene e del male. Dante si è inventato il viaggio tra il fuoco, l’attesa e la luce usando gli strumenti dell’intreccio a rete. Ovvero dell’inganno, dell’assurdo, dell’enigma. Tre concetti che sono dimensioni dell’esistere tra il terrore della morte e il delirio della vita. Resta ancora oggi un riferimento del paradosso che domina l’invidia, la gelosia, la codardia. Ma il paradosso è una civiltà dell’agonia.

Le civiltà spariscono ma il doppio delle religioni resta. Dante ha svelato il doppio e lo specchio delle religioni e uccidendo Paolo e Francesca ha rivelato la maschera del sacro, l’orribile maschera che si nasconde dentro la morale del bene rivelando la potenza del male. Ha anticipato, infondo, ciò che Nietzsche fece dire a Zarathustra e ciò che prima Schopenauur volle rappresentare come volontà. Un tragico. Non un commediante da Commedia. Dante è il tragico tra Occidente e Oriente. Dante letto male, conosciuto poco, scolarizzato da incolti e nonostante tutto resta il  primo tragico italiano tra Occidente e Oriente oltre i Mediterranei.

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