Afghanistan, Aidda: “Impedire alle donne di lavorare è la condanna a morte della loro dignità”

Afghanistan, Aidda: “Impedire alle donne di lavorare è la condanna a morte della loro dignità”

L’appello della presidente Antonella Giachetti: “L’ennesima restrizione di genere inaccettabile. Mandiamo un messaggio”

 

Roma, 21 settembre 2021 – “La condizione delle donne a Kabul diventa ogni giorno più preoccupante. I nuovi capi del Paese hanno deciso che le dipendenti pubbliche della città non potranno tornare a lavorare. Già prima, le scuole medie e superiori erano state riaperte solo a studenti e docenti maschi. I diritti di migliaia di persone stanno venendo calpestati. Purtroppo, i timori di una crescente repressione di genere si stanno concretizzando. Si tratta questa dell’ennesima restrizione inaccettabile. Ed è forse la più grave, perché ogni società civile è fondata sul lavoro, sinonimo di realizzazione individuale e di democrazia. Impedire alle donne di partecipare alla sfera pubblica, di svolgere un mestiere, è la condanna a morte della loro dignità. Bandire le donne dagli uffici pubblici e dalle scuole non può essere considerata una semplice visione politica e sociale retrograda: è un atto disumano“. Lo dice Antonella Giachetti, presidente Aidda, l’Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda.

 

“Nell’oscurità sempre più opprimente di Kabul, si intravedono anche dei bagliori di speranza: piccoli gruppi di attiviste, dotate di coraggio straordinario, che provano a non far morire la voce di milioni di donne. Nei giorni scorsi – aggiunge Giachetti – sono scese di nuovo in strada rivendicando quei diritti basilari che ogni governo dovrebbe garantire in ugual modo a tutta la sua popolazione senza discriminazione alcuna: istruzione, partecipazione, lavoro. Seppur a distanza dobbiamo sostenere il loro coraggio, sperando che quanto hanno guadagnato negli ultimi decenni non vada completamente perso. Il mondo Occidentale deve prendere una posizione forte di condanna verso queste decisioni e mantenere aperti i corridoi umanitari. Mandiamo un messaggio“.

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