Viviamo ancora il terrore della pandemia da Covid 19 con conseguente chiusura alla vita normale, mentre la risoluzione offerta dai vaccini, soprattutto in Italia, ridimensiona appena la situazione, sia per le difficoltà nel porre in atto l’iter accelerativo del programma vaccinale sia per quanto di negativo è sui vaccini rimbalzato da programmi televisivi, stampa e social, disorientando e terrorizzando. A ciò va aggiunto il caos nella rete dei rapporti fra gli Stati e in quella finanziaria, dove tutti, dai leader agli emergenti fino ai sottostimati, contribuiscono ad una impressionante confusione di fronte alla quale possono sembrare chiarezza persino le astuzie ed i sotterfugi dei secoli scorsi, anche quelli che portarono alla esplosione dei due conflitti mondiali. Un mondo ancora di guerre il XXI secolo, tante a causa degli squilibri provocati, guerre aperte e anche celate che ovunque portano, come da sempre nella storia, distruzione, rovine di sistemi di vita, povertà, crudeltà e morte. E dilaga la violenza in ogni etnia, violenza singola e di gruppo a qualsiasi latitudine, di soggetti ‘comuni’ e di quelli facenti parte delle Istituzioni. C’era, ovviamente, anche nei secoli passati, ma ora, con ogni freno alla deriva e con il lievitare di nuovi sistemi, la violenza è ormai a livelli esponenziali. Volta al soddisfacimento “hic et nunc” degli istinti più bassi, materiali e di sopraffazione, invade il globo in maniera anche occulta, risultando ancor più dannosa. Basta meditare sui quotidiani accadimenti, almeno su quelli di cui possiamo essere a conoscenza: fatti nei quali sono implicati soggetti maschili e femminili di varie generazioni, con crescita nelle ultime. E vi ritroviamo quanto lo scrittore Antony Burgess previde nel lontano 1962 in “A clockwork orange “, romanzo distopico dove la connotazione del mondo è estremamente negativa, dato che i mali giungono alle conseguenze estreme e gli individui vengono manipolati da parte del sistema. Orang in lingua malese, che lo scrittore conosceva, significa uomo, quindi la traduzione del titolo, oltre che “Arancia meccanica” o “Arancia ad orologeria”, potrebbe essere “Uomo a orologeria”, vale a dire uomo pronto ad esplodere in qualsiasi momento. Accade quotidianamente nel nostro tempo caratterizzato da individui che esplodono appena viene mosso il congegno, e la conseguente rovina risulta impressionante e devastante. In ogni parte del pianeta dilagano fautori e attori della violenza, considerata come solo “ius”, e si ha sempre più la tendenza a tutelarli appellandosi a diritti che tali non sono. Dal romanzo di Burgess il regista Stanley Kubrick trasse nel 1971 l’omonimo film che per la crudezza delle scene, oltre del messaggio mostrante le diverse violenze di soggetti comuni, della medicina, della polizia e della politica, suscitò molto scalpore. Ebbe, però, pure vari riconoscimenti, tra cui 4 candidature a “Premi Oscar”, 1 premio a “Nastri d’Argento”, 3 candidature a “Golden Globes” e altro ancora. L’attore Malcom McDowell interpreta il giovane amante di musica classica Alex De Large, consumatore di sostanze stupefacenti, capo della banda criminale denominata dei Drughi, dedita anch’essa a droghe, sesso, furti e ultraviolenza verso i deboli. Alex è violento anche verso gli altri della banda che in una rapina con uccisione lo lasciano nelle mani della Polizia. Per uscire dal carcere si sottopone al trattamento “Ludwig” che gli provocherà nausea verso musica (Beethoven in particolare), sesso, violenza e droga divenendo vittima di quanti erano stati sue vittime. Lo shock provocato dal tentativo di suicidio, di cui sono responsabili Medicina e Polizia, lo farà tornare come prima: otterrà, con la promessa di non far emergere il suo caso, il ruolo di Capo della Polizia col quale potrà vendicarsi legalmente e trascorrere la vita tra musica, sesso e violenza. L’epilogo voluto da Kubrick si distanzia da quello ‘ammorbidito’ di Burgess, è perfettamente aderente al personaggio, alle sue scelte, al suo libero arbitrio caricato dal Male, quindi pronto a far scattare la propria violenza che farmaci e trattamenti possono solo celare per il tempo in cui il suo libero arbitrio viene soppresso. Quel che negli anni Sessanta – Settanta sembrò a molti messaggio troppo forte per essere reale, lo viviamo quotidianamente, anzi con intensità maggiore nella violenza che ovunque esplode verso le donne e tutti gli altri soggetti deboli, nelle trame delle Istituzioni e di quanto ad esse connesso, in quelle che si colgono e in quelle che non compaiono, drammatiche tutte. La vita ha perso valore, l’altrui e la propria, e anche dietro l’apparenza della normalità si celano nature di sorprendente violenza: è l’arma elegante di chi uccide, rapina e mente senza essere sospettato. Domanda inquietante: se nella maggior parte degli esseri umani lo stato di natura è quello del male, non sta forse l’umanità, deprivata ormai dello stato di cultura, passando ad essere quella che in effetti è? Dietro la speranza della salvezza il dubbio.
Antonietta Benagiano