CAPODANNO BIFRONTE

-Buon 2021!                                                                                                                        -Eh, speriamo!                                                                                                                                 Così l’augurio in questi ultimi giorni del 2020: labbra coperte da mascherine, occhi che non sorridono.                                                                                                              Avevamo allo scoccare della mezzanotte dello scorso 31 dicembre, come a quella dei precedenti anni, brindato, più o meno tutti, con il solito stato d’animo: pur nella incertezza che giammai abbandona l’essere umano conscio dell’enigma futuro, non c’era il dato funesto, per nulla potevamo presupporre che si sarebbe nel 2020 presentato in modo così rilevante. Stiamo ora per dire addio all’annus horribilis, lascia un forte segno negativo nell’umanità, sotto altri aspetti già desolata a livello globale per colpe anche sue.                                                                                            Al tempo dei grandi conflitti c’era quel volgersi al nuovo anno con la speranza fortemente sentita di una volontà diversa dalla volontà di distruzione, e poteva, nelle difficoltà, avverarsi poiché stava all’uomo costruire la pace, dopo aver stoltamente dato e ricevuto morte e distruzione. Il Covid ha altra potenza nel suo infintamente piccolo, sta pure nel mutamento e, nonostante sia stato il vaccino celermente approntato dalla scienza medica, toglie ancora la prospettiva di serenità, il ritorno a quella che per tutti era la conduzione della vita, normale per quel che concede l’anormalità umana.                                                                                                                 Un capodanno, questo, quanto mai bifronte dunque, qualunque sia la data posta come inizio dai vari gruppi umani secondo il calendario adottato, ma era varia nel passato anche nel mondo occidentale (25 marzo per Inghilterra, Irlanda, Firenze e Pisa, 25 dicembre per la Spagna, 1° settembre per Puglia, Calabria e Sardegna…) sino a quando il papa Innocenzo XII nel 1691 ufficializzò il 1° gennaio come inizio dell’anno.                                                                                                                   Varia è la data ma identico lo spirito celebrativo. E’ quello che si rintraccia dalle prime età di Roma, da quando, dopo i Saturnalia (17-23 dicembre) in onore di Saturnus, il dio dell’età dell’oro, della felicità e dell’abbondanza di tutte le cose, dell’eguaglianza concessa anche agli schiavi, si passò dal 1° gennaio del 135 a. C. a celebrare Ianus Bifrons, il dio bifronte che apriva l’anno (ianua è la porta, quindi ianuarius il mese che apre l’anno), da Giulio Cesare inserito nel 46 a. C. nel Pantheon.                                                                                                                             Non a caso è un dio dotato di due facce, l’una che guarda indietro, l’altra avanti, con sembianze senili l’una, l’altra di giovane, simbologia del vecchio che si è vissuto, del nuovo che si inizia a vivere ma, al tempo stesso, di un passaggio che non può non tenere conto di quanto è stato, anche delle negatività che l’anno da gettare alle spalle ha fatto vivere. Venivano le negatività esorcizzate attraverso riti apotropaici come rinnovare il fuoco di Vesta e appendere fronde di lauro; li compiamo anche noi, a esempio, quando spariamo colpi per eliminare il male o gettiamo oggetti inservibili; attraverso riti augurali come lo scambio di doni, presente presso i Romani e in noi a tal punto sovrabbondante da incentivare il consumismo; riti divinatori (basti pensare ai tanti rituali descritti da autori latini per conoscere il futuro, ai nostri oroscopi) e anche funerari di quel tempo e nostri a memoria dei familiari scomparsi.                                                                                                           Va detto che Giano Bifronte simboleggiava per i Romani non la personalità doppia, vale a dire l’ipocrisia e l’ambiguità come a partire da secoli a noi più vicini è invalso, soprattutto a proposito di finanze e commercio, quasi “mano invisibile” di Adamo Smith e mano minacciosa della “bestia forsennata” di Hegel. Il “Pater matutinae” (Padre del mattino), come veniva con uno dei suoi epiteti chiamato Ianus Bifrons, sollecitava con la doppia fronte ad essere consapevoli delle esperienze passate in modo da agire per la costruzione di un futuro che fosse migliore. E ciò in linea anche con la massima “faber est suae quisque fortunae” (ciascuno è artefice della propria sorte), attribuita da Sallustio ad Appio Claudio Cieco.                                                                                                              E l’umanità tutta dovrebbe riflettere su quanto di negativo il 2020 ha prodotto a livello globale per mutare rotta, dando valore a quella parte sempre più trascurata che costituisce, invece, il fondamento perché il Sé si ponga in correlazione con l’Altro per essere Noi. Grande lontananza per cui, pur debellando il Covid, senza il Noi inafferrabile resta ciò verso cui l’umanità tende, quella felicità intesa come scopo della vita che i Greci chiamavano eudaimonia, uno scopo che non può essere disgiunto dall’etica.                                                                                                                              Solo con essa l’augurio può farsi consistenza, da parte della Cristianità l’invocazione del 1° gennaio allo Spirito Santo, quel “Veni, Creator”, da remoto tempo rivolto.

Antonietta Benagiano

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