“A Natale, obbligo di dimora anche per un Comune di 197 anime. Una vergogna!”


Intervista al senatore Luca De Carlo, coordinatore di Fratelli d’Italia per il Veneto e Sindaco di Calalzo di Cadore 

Senatore De Carlo, ci aspetta un Natale di passione, ma non è Pasqua. Niente cenoni, tutti tappati in casa, auguri solo a distanza. Era inevitabile?

No. Se si fosse programmato, durante l’estate, quello che si doveva e se si fosse fatto qualcosa per non farsi travolgere dalla seconda ondata, avremmo potuto avere un Natale molto diverso. I ritardi del Governo sono evidenti. Penso, ad esempio, al trasporto pubblico, per cui non si è fatto niente, pur essendo notoriamente uno dei massimi veicoli del contagio.

Che cosa si sarebbe potuto fare in concreto?

Ad esempio, si sarebbero potuto finanziare ad hoc le Regioni e autorizzarle a stipulare convenzioni con il trasporto privato, taxi, Ncc, bus turistici, costretti a star fermi, anziché, risarcirli con i ristori. Il trasporto pubblico si sarebbe decongestionato, non ci sarebbero stati gli assembramenti e il contagio non avrebbe galoppato.

Oltre alla mancanza di misure straordinarie per il trasporto pubblico, ha altre accuse specifiche da muovere al Governo?

Il Governo aveva chiesto alle Regioni quali fossero le criticità del sistema sanitario, con particolare riguardo alle terapie intensive. Le Regioni avevano risposto a luglio. Il governo ha aperto i bandi per l’acquisto di nuovi macchinari solo ai primi di ottobre. Mesi persi, che non si recuperano più.

Senatore, qualcuno pensa che alcune chiusure andavano prescritte prima e critica, ad esempio, il Governo per aver lasciate aperte le discoteche in estate. Lei da che parte sta?

Io dico che, per chiudere qualcosa o qualcuno, bisogna prima esibire evidenze scientifiche. In assenza di prove documentate e comunicate a chi non ha accesso alle segrete stanze del Comitato Tecnico Scientifico, tutte le chiusure diventano cervellotiche, senza contare che si continua a fare di ogni erba un fascio, a non distinguere fra gli operatori, che si sono anche svenati per mettere i loro esercizi a norma, e chi non ha mosso un dito. Un Cts composto, peraltro, come è noto, più da burocrati rappresentanti delle varie amministrazioni e associazioni pubbliche, che da emeriti scienziati e medici di frontiera.

Torniamo alle polemiche di questi giorni, successive all’emissione dell’ultimo Dpcm. Lei è Sindaco di Calalzo di Cadore, duemila abitanti abbarbicati sul pendio di una montagna. Lo sa che i suoi concittadini avranno l’obbligo di dimora nei giorni di Natale, Santo Stefano e Capodanno?

Una scelta scellerata e disumana. Ma come si fa a trattare Colalzo come Roma, Milano e Napoli? A equiparare un paesino di duemila abitanti a metropoli che ne contano milioni? Siamo tanti paesini, tutti attaccati, un chilometro di distanza l’uno dall’altro e anche meno, una continuità territoriale, con in mezzo cartelli che annunciano un altro paese, elevati ora dal Governo a invalicabili frontiere. Pensi che esiste un Comune, Zoppe’ di Cadore, che conta centonovantasette abitanti e il Comune di sotto, invece, tremila. Quelli di Zoppe’ non potrebbero spostarsi neppure nel Comune limitrofo, ma restare prigionieri nel chiuso dei loro minuscoli confini. Zoppe’ è come una via di Roma o, se preferisce, quattro o cinque suoi condomini. Qui si travalica l’obbligo di dimora, siamo agli arresti domiciliari. Sono provvedimenti incomprensibili per il popolo. Senza motivazioni. Indifendibili.

Che cosa proponete?

Di estendere i confini del divieto all’ambito provinciale. La mia provincia, Belluno, ha duecentomila abitanti, un quindicesimo di Roma per intenderci, ed è estesa su un territorio che è il più vasto fra quelle del Veneto. Lei capisce bene quanto siano ridotte le possibilità di assembramento. Purtroppo, a non rendersene conto è solo il Governo.

Che cosa la fa arrabbiare di più?

Le decisioni prese dal Governo senza ascoltare nessuno, né il Parlamento, né gli enti locali. Il bello è che si pretende di far credere il contrario. Sono senatore e insieme Sindaco di Calalzo. Mi sento doppiamente scavalcato, sia come parlamentare che come primo cittadino. “Bechi e bastonai”, si dice dalle nostre parti. Il Parlamento è chiamato solo a votare gli scostamenti di bilancio, senza i quali, è bene rammentarlo, indennizzi e ristori sarebbero solo belle parole. I Comuni servono solo a mettere in pratica le decisioni assunte in modo carbonaro dal Presidente del Consiglio, per giunta assolutamente incomprensibili ai comuni mortali.

Se qualcuno l’accusasse di essere negazionista, che cosa risponderebbe?

Che non lo sono. Io il Covid me lo sono preso e sto a casa in quarantena. So che è un virus pericoloso, che può diventare mortale. I numeri li so leggere anch’io. Pretendere decisioni sensate, e non cervellotiche, non equivale certo a essere o diventare negazionisti.

Non sapevo di intervistare un malato di Covid. Come sta?

Bene fortunatamente, a parte il fatto che non distinguo più gli odori e i sapori. Ha presente il profumo inimitabile della mia adorata pasta al pesto, ecco ora per me è uguale a quello degli spaghetti al burro e parmigiano. Mi sono dimenticato una cosa…

A che proposito, senatore?

Ogni volta che i miei cittadini reclamano un po’più di sicurezza e il presidio di un determinato territorio contro i malavitosi, viene loro risposto che non ci sono forze di polizia a disposizione. Ora, invece, apprendiamo dal Ministero dell’Interno, Luciana Lamorgese, che settantamila agenti, armati come si deve, un dispiegamento di forze che non ha precedenti nella storia repubblicana, sono pronti a impedire alla signora Maria, che abita a Calalzo, di mangiare il panettone con il nipote Andrea, che vive a Pieve di Cadore, che è talmente vicino da poterci andare a piedi. Per i delinquenti le forze dell’ordine non ci sono mai, per le signore Maria, Angela, Giuseppina e via discorrendo, sì. Roba da mandarmi in bestia! Roba da matti!

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