La rivolta dello scorso anno in Iran è ancora sottostimata nonostante il suo evidente significato

 

Lo scorso novembre l’Iran è stato scosso da una serie di proteste antigovernative che probabilmente hanno costituito la più diffusa rivolta antigovernativa dall’inizio dell’attuale regime. È stato confermato che le manifestazioni si sono svolte in 191 città e paesi, in tutte le 31 province iraniane. Il significato di questa diversità geografica è stato amplificato dal fatto che alcune delle località partecipanti erano state ritenute roccaforti del sistema teocratico fino a quando i loro residenti non si sono uniti nell’adozione di slogan che lasciavano pochi dubbi sul sostegno popolare al cambio di regime e alla democrazia.

Quegli slogan erano stati generalmente stabiliti circa due anni prima, nel contesto di un’altra rivolta quasi altrettanto ampia e diversificata. Sia nel dicembre 2017 che nel novembre 2019, i cittadini iraniani si sono riversati nelle strade in risposta a preoccupanti indicatori economici che hanno rivelato l’entità della cattiva gestione del regime e la mancanza di attenzione per il benessere del proprio popolo. Nel primo caso, i disordini a livello nazionale sono stati scatenati da una protesta organizzata nella città di Mashhad, che evidenziava le condizioni economiche generali. Nel secondo, l’intera rivolta scoppiò spontaneamente, in risposta all’annuncio del governo di un improvviso aumento del prezzo della benzina.

Nonostante queste differenze, entrambe le rivolte spostarono rapidamente l’attenzione dalle espressioni di malcontento economico a una condanna completa del sistema che ne era responsabile. Entrambi i movimenti sono stati definiti da slogan come “Morte al dittatore” e “Intransigenti, riformisti: il gioco è finito”. Quest’ultimo fa riferimento alle due principali fazioni della politica iraniana, associate rispettivamente alla ‘Guida Suprema’ del regime Ali Khamenei e al presidente Hassan Rouhani. Il rifiuto pubblico di entrambe queste fazioni evidenzia la richiesta di un’alternativa tratta dall’esterno della struttura di potere esistente. E gli ulteriori dettagli dei disordini indicano che la maggioranza delle persone sembra avere in mente un’alternativa specifica.

Nel gennaio 2018, mentre la prima rivolta era ancora in pieno svolgimento, lo stesso Khamenei riconobbe che l’entità dei disordini era un segno della crescente influenza sociale di un gruppo organizzato della Resistenza iraniana, vale a dire l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI-MEK ). Quel gruppo è stato a lungo riconosciuto come l’arcinemico dei mullah, e questo status lo ha portato a essere oggetto di tentativi di distruzione fin dagli anni immediatamente successivi alla rivoluzione del 1979. Nell’estate del 1988, al MEK apparteneva la stragrande maggioranza dei 30.000 prigionieri politici uccisi in una serie di esecuzioni di massa.

Dall’epoca di quel massacro, il regime ha mantenuto pubblicamente la posizione secondo cui nulla era rimasto del MEK se non un culto marginale o un “gruppuscolo” – fino a quando un discorso di Khamenei nel 2018 ha abbandonato decenni di propaganda per spiegare che quel movimento di protesta non sarebbe potuto esistere senza il sostegno di una struttura di leadership organizzata. Attualmente, quella leadership è identificata con Maryam Rajavi, che è presidente della coalizione Consiglio Nazionale della Resistenza dell’Iran.

La signora Rajavi è anche l’autrice di un piano in 10 punti per il futuro del Paese. Questo delinea un antidoto al sistema attuale, consistente in salvaguardie sui diritti delle donne e delle minoranze, separazione della religione dallo Stato e impegno per pacifiche relazioni estere senza armi di distruzione di massa. Il piano identifica il movimento di resistenza iraniano come un alleato naturale delle democrazie occidentali; inoltre, fornisce al popolo iraniano una visione condivisa sulla quale costruire un efficace movimento di protesta. Questo, oltre al malcontento economico, è ciò che è stato mostrato nella rivolta dello scorso novembre.

Anche se non lo direbbero mai esplicitamente, ci sono chiari segni che le autorità del regime iraniano riconoscono questo fenomeno e ne hanno paura. Tra questi segni vi sono le loro pubbliche espressioni di impegno per una violenta repressione, in particolare quella incentrata sulla ripresa dei tentativi del passato di distruggere il MEK nella sua interezza.

La guida della preghiera del Venerdì per Teheran delineò il piano del regime clericale per affrontare i disordini il 21 novembre 2019, anche prima che la rivolta venisse ridotta. “Dico alla magistratura: la prima cosa è che le autorità giudiziarie devono comminare la massima pena agli organizzatori e ai leader”, ha detto Ahmad Khatami. Ma, come sarebbe diventato presto chiaro, questo consiglio aveva solo lo scopo di integrare le esecuzioni sommarie che erano già state effettivamente eseguite in punta di pistola.

Immediatamente dopo l’inizio della rivolta di novembre, il governo inviò il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) in aree di particolare agitazione con l’ordine di ripristinare una relativa calma con ogni mezzo necessario. L’IRGC aprì prontamente il fuoco su folle di manifestanti; Amnesty International ha successivamente confermato che quegli uomini armati sparavano per uccidere. Circa un mese dopo l’inizio della rivolta, il MEK ha iniziato a pubblicare rapporti sulla risposta del regime, concludendo che circa 1.500 persone erano state uccise e più di 4.000 ferite.

Anche ora, un intero anno dopo la rivolta, il bilancio delle vittime è destinato a salire ulteriormente mentre le autorità seguono il consiglio di figure come Khatami. Inoltre, la magistratura non sembra aver finito con la sua repressione fatale della rivolta del gennaio 2018 o, del resto, di nessuna delle manifestazioni sparse che hanno avuto luogo nel periodo intermedio, come parte di quello che la signora Rajavi ha definito un “anno pieno di rivolte”.

Questo è sempre stato evidente agli attivisti della Resistenza, ma sfortunatamente essi hanno dovuto lottare per rendere la comunità internazionale pienamente consapevole delle rappresaglie del regime o degli scontri di fondo tra il regime e il popolo iraniano. Tuttavia, i responsabili politici occidentali potrebbero essere giunti a una sorta di risveglio su questo argomento a settembre. È stato allora che la magistratura iraniana ha eseguito la condanna a morte dell’attivista Navid Afkari, il cui status di celebre atleta ha contribuito ad aumentare la notorietà del suo caso e generare una serie di appelli internazionali per risparmiargli la vita.

Teheran è stata incurante di tutti questi appelli, sebbene provenissero da governi occidentali, autorevoli politici e organizzazioni per i diritti umani molto influenti. L’esecuzione di Afkari può essere descritta come insolitamente efficiente, con solo poche settimane tra la sua conferma in appello e la sua attuazione. Ufficialmente, il campione di wrestler era accusato di omicidio, ma c’erano prove video che indicavano la sua innocenza ed è ampiamente noto che era stato condannato all’esecuzione per impedirgli di ispirare ulteriore attivismo pro-democrazia. La sua rapida impiccagione è stata presumibilmente intesa a impedire un maggiore coinvolgimento internazionale.

Certo, è ridicolo pensare che il mondo dimenticherà questo caso particolare solo perché l’attivista è morto. È ancora più ridicolo pensare che il temuto coinvolgimento internazionale non si espanderà fino a includere le 1.500 persone uccise nel novembre di un anno fa o le altre che sono state destinate all’esecuzione da allora.

Almeno, sarebbe ridicolo pensare queste cose, se non fosse per il fatto che c’è una lunga storia di violazioni dei diritti umani da parte dell’Iran che sono state ignorate, soprattutto quando coinvolgono il movimento organizzato della Resistenza. Nessuno è stato ritenuto responsabile in un tribunale internazionale per il massacro del 1988 e la repressione dello scorso novembre è stata appena menzionata nelle discussioni politiche nelle democrazie occidentali. Purtroppo, resta da vedere se le potenze occidentali rettificheranno queste sviste prima che Teheran tenti di nuovo di distruggere l’opposizione democratica.

Mahmoud Hakamian

@HakamianMahmoud

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