LIBERTÀ RELIGIOSA CONTRO IL VAIOLO DELL’ODIO

di Domenico Bilotti

In questa fase così difficile per i diritti globali, non meraviglia che forme antiche e nuove di odio sociale, di conflitto strisciante e di ostracismo religioso allignino inosservate all’opinione pubblica fino a che non producono le stragi, gli eventi tragici e luttuosi.

Non meraviglia del tutto che la corrente attualità riproponga una grave recrudescenza di atti anche individuali di terrorismo fondamentalista in Francia. Non serve tornare troppo indietro, a quando l’elitismo nazionalista giustificava il colonialismo o a quando, più recentemente, un Presidente conservatore poteva permettersi di definire “feccia” manifestanti ed extralegali delle banlieues. La sfida di questi anni è insieme più profonda e più pragmatica e riguarda le dinamiche di esclusione dall’esercizio attivo della cittadinanza democratica. Lo stato civile francese ieri poteva addebitarsi di aver creato una simbologia pubblica quasi religiosa, dove a essere bandito non era l’elemento teologico, bensì quello della semplice estraneità demografica. Oggi il quadro è di molto cambiato perché lo smarrimento da crisi sociale si declina contro tutte le soggettività, in particolar modo quelle non organizzate: scorie di un disagio facili da irretire, immolare, usare e buttare.

Nell’humus del rancore che non ha canali per parlare e cuori per sentire, non c’è spazio alcuno per non condannare il sangue versato. I fedeli musulmani che vivono dignitosamente la loro comunità ci spiegano che non c’è spazio sul piano teologico: non c’è fede né lettura coranica che possano legittimare l’odio contro l’odio fino alla perdita della vita. Ma anche sul piano culturale, legale e politico è impossibile trovar ragione della mattanza di Nizza e delle sue lugubri decapitazioni. C’è materiale, molto, per la criminologia e per l’analisi giudiziaria comparata: Nizza già colpita, e con tutte le modalità operative del proselitismo jihadista. Prima i furgoni rubati e lanciati contro le folle, poi gli attacchi con le armi da fuoco in obiettivi et(n)icamente sensibili (punti di ristoro, giornali, sale musicali), poi ancora gli attacchi al coltello e infine oggi il ritorno esemplare delle decapitazioni.

C’è desolazione a veder la vita altrui usata a conferma della propria volontà di potenza, fino a che l’omicida confessa la sua totale debolezza semantica proprio nell’atto di negar l’altro per esistere in sé.

C’è desolazione nella tragica casualità per cui si muore senza saperlo, per un essersi trovati dove e come era meglio non essere, anche se nessuna regola di condotta – fosse pure esclusivamente di cautela prudenziale! – ci avesse imposto di esser non lì, ma altrove.

Può apparire retorica, ma c’è un modo solo di onorare i morti di Nizza, continuando a presidiare cioè il diritto e la virtù della libertà religiosa. La complessità accogliente dove albergano la funzione del culto cattolico in cattedrale, la preghiera del venerdì e quella del sabato, l’ateismo senza smanie giudicanti, la satira indigesta e non per questo da cui derogare.

Nizza ci restituisce così la sua valenza archetipica: città anarchica e poi antinazionale, autonomista e poi nazionalista, comunarda e poi borghese. Oggi esposta alle migrazioni, alle “reti” materiali e non materiali dell’agire civile giuridicamente orientato, non dovrà più temere che la contraddizione generi morte. Altro spetta alla contraddizione feconda del costituzionalismo plurale: generare la vita e la civiltà del diritto.

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