Per i suoi interessi e le sue attitudini a 360 gradi, per le sue coraggiose teorie e le posizioni controcorrente, per la sua radicale ed accesa avversione ad ogni sorta di dogmatismo e di fanatismo (oggi si denominerebbe fondamentalismo), Giordano Bruno ha incarnato, quasi per antonomasia, il prototipo ideale dell’intellettuale rinascimentale ed universale, il genio ribelle ed eclettico, tanto scomodo ed anticonformista, quanto versatile e poliedrico. Alla stessa stregua di Leonardo da Vinci, per intenderci, anzi persino più audace. Egli non fu soltanto un filosofo ed un “protoscienziato” naturalista, bensì anche uno scrittore ed un letterato, un artista e un cultore nell’ambito delle arti esoteriche, un esperto di tecniche per la memoria, le “mnemotecniche” di origine lulliana (dal suo inventore, il filosofo e teologo Raimondo Lullo, vissuto nel XIII secolo). Giordano Bruno è forse l’ultima figura di un intellettuale “a tutto tondo”, cioè di uno studioso totale, di un pensatore assai duttile, completo e sfaccettato, come pochi altri in tutta la storia umana (e nella stessa epoca rinascimentale). In seguito, a partire dalla “rivoluzione” scientifico-culturale operata da Galilei e altri scienziati nel 1600, le scienze si sono parcellizzate in varie discipline di studi e gli scienziati si sono trasformati in specialisti, ossia studiosi sempre più specializzati in un ramo di ricerche e di interessi limitati, con funzioni assai specifiche. È quello stesso “paradigma” culturale borghese che è all’origine del vasto processo di suddivisione del lavoro produttivo a partire dalla prima, grande rivoluzione industriale che si è realizzata in Gran Bretagna e, poi, nel resto d’Europa, per approdare ai giorni nostri, percorrendo le fasi tecnologiche contrassegnate dal taylorismo e dal fordismo (si pensi solo alla “catena di montaggio” nella fabbrica fordista). Voi obietterete: ma cosa c’entra tutto ciò con Giordano Bruno? C’entra! Ed ora ne espongo le ragioni. La figura e l’opera di Giordano Bruno, così come quelle di Leonardo da Vinci ed altri personaggi vissuti nel Rinascimento, hanno incarnato un modello di umanità e di pensiero aperti a 360 gradi. È una concezione che si pone agli antipodi, sia della tradizione culturale e religiosa che ha dominato la vita nel Medio Evo, oppressa dai rigidi dogmi imposti da una fede cieca, sia della visione del mondo affermatasi con l’avvento della civiltà industriale, alienata dai dogmi dettati da una falsa “scienza”, elevata al rango di un feticcio ed asservita alla logica di un Potere assoluto, supremo, che esercita un controllo pervasivo sulla vita, sui corpi e sulle coscienze degli esseri umani. A tale proposito, mi permetto di rinviare all’analisi condotta da Michel Foucault sulle problematiche della “biopolitica” e del “biopotere” nel mondo capitalista, oppure al più noto saggio di Herbert Marcuse, “L’uomo a una dimensione”, e alla critica sociale elaborata dalla grande Scuola di Francoforte. Ma si pensi, altresì, agli “eroici furori” che animarono Bruno, alla infinita sete di sapere e di amore che ha sospinto il filosofo nolano. Il quale ha attinto in maniera eclettica e geniale da diversi pensatori ed autori precedenti, come, ad esempio, dal neoplatonismo di Niccolò Cusano. La visione bruniana di un universo infinito è anticipatrice del moderno concetto di infinito. Grazie al copernicanesimo, sposato da Bruno, l’infinito è assunto a fondamento di un universo penetrato dalla medesima sostanza divina. La “coincidentia oppositorum” (di Cusano) “si tuffa” nell’immensità senza limiti degli innumerevoli mondi infiniti. In tal senso, il pensiero di Giordano Bruno ha fornito la base di partenza per le successive e più ampie elaborazioni della cognizione di “infinito”, declinate nella “sostanza” di Baruch Spinoza, nel concetto di “Io puro” di Fichte, nell’idea di “Assoluto” di Schelling e nello “Spirito” di Hegel. In altri termini, Bruno è il precursore di alcune sofisticate speculazioni della metafisica offerte nella storia della filosofia moderna e contemporanea: dal panteismo di Spinoza, fino alla dialettica di Hegel ed all’attivismo di Giovanni Gentile.
Lucio Garofalo