Nonostante tre pagine e mezzo di ‘giustificazioni’, la risposta del Ministero di Franceschini all’interrogazione 3-01263 del 9 dicembre 2019 sulle docenze di Legislazione dei Beni Culturali svolte da dipendenti MiBACT privi di formazione giuridica, atto a mia prima firma sottoscritto da altre cinque senatrici pentastellate della Commissione “Cultura”, non è di alcuna soddisfazione. La ricerca in campo archeologico costituisce infatti lo scopo peculiare ed esclusivo dell’Istituto Centrale per l’Archeologia (ICA) e la possibilità che, nel perseguimento dei suoi obiettivi istituzionali, esso sottoscriva accordi con università e centri di ricerca, in Italia e all’estero, comprese la Scuola Italiana di Atene e quella cd. del Patrimonio, non è in discussione. Ciò che l’interrogazione contestava, rivolgendosi anche e soprattutto al Ministro dell’Università e Ricerca, che tace tuttora, è come la dirigente ad interim di ICA e quattro altri dipendenti ministeriali (2 di ICA e 2 del Servizio II della Direzione generale ABAP, l’ufficio da quella diretto e presso il quale l’Istituto ha operato prima di tornare ufficio dirigenziale) possano insegnare per decine di ore in “Sapienza” e alla Scuola Archeologica di Atene una materia prettamente giuridica. Per non dire che se ICA è incaricato dall’Università, come dichiara il MiBACT, il conferimento di incarico a singoli di quell’ufficio, intuitu personae, appare illegittimo. La delicatezza del caso è accentuata dal fatto che i cicli di docenza sono stati più d’uno, fin dal 2017, sulla base di accordi di collaborazione triennali che prevedono, sull’altro fronte, tirocini formativi per gli studenti presso il Ministero. Orbene, le accademie d’arte, gli atenei italiani e le stesse scuole di alta formazione del MiBACT assegnano a contratto l’insegnamento di Legislazione dei Beni Culturali, ovviamente su base comparativa, ma solo a giuristi, poiché trattasi di materia afferente al Diritto Amministrativo (IUS 10). La risposta ministeriale favoleggia di basi esperienziali della dirigente ICA che “proiettano la materia del corso in una dimensione nuova e innovativa” (sic). Le ragioni di un così temerario arrampicarsi sugli specchi non sono di poco momento: lo sforzo supremo sta non solo nel negare che il personale statale abbia percepito indebitamente compensi ma soprattutto, mentre si rimarcano i vantaggi per l’Amministrazione di quegli accordi non onerosi, nel ricondurre ad attività istituzionale missioni, lezioni, viaggi e permanenze fuori sede per scongiurare l’ipotesi, gravissima, di danno erariale. Ma come può la docenza di Legislazione dei Beni Culturali corrispondere alla mission di ICA, che come ricordato è la ricerca in campo archeologico, non l’insegnamento, poiché ICA non è un ente universitario, tant’è che il personale, a cominciare dalla dirigente, è costituito da archeologi? Allo stesso scopo il Ministero precisa che le docenze (alle quali da convenzione si aggiungono esami, assistenza tesi e manifestazioni varie) sono state svolte prevalentemente nel tardo pomeriggio e al sabato, senza contare che è diritto di ciascun dirigente dello Stato determinare il proprio orario lavorativo: il che è vero per il dirigente, appunto, ma non per i suoi collaboratori. Volendo poi ad ogni costo far credere che il contegno dei suddetti dipendenti statali e della direttrice in particolare s’inserisca nel solco di una prassi consolidata, l’Ufficio Legislativo arriva a fare i nomi di due dirigenti che in passato avrebbero anch’essi svolto docenze di Legislazione a “Sapienza” e alla Scuola di Atene: i dott.ri Gino Famiglietti e Irene Berlingò. Basti dire che, entrambi in quiescenza, il curriculum dell’ex Direttore generale ABAP, ancora agevolmente reperibile in rete, non solo lo qualifica quale giurista, non archeologo come la Berlingò, ma smentisce quanto messo nero su bianco dall’Ufficio Legislativo del MiBACT, rendendo anzi evidente che lo stesso interruppe l’attività di docenza universitaria (svolta solo a Napoli) proprio all’assunzione dell’incarico di vice capo del suddetto Ufficio Legislativo, oggi colto da amnesia. Il testo si chiude con l’estensore della risposta che ribadisce la regolarità degli atti, respingendo l’idea che debbano accertarsi responsabilità e adottarsi provvedimenti, sia interni sia da parte di ANAC. Un’autoassoluzione che non convince affatto e alla luce della quale, stante la reticenza del MUR, mi rivolgerò all’Associazione Italiana Professori Diritto Amministrativo per provocarne l’opinione e la presa di posizione.
Margherita Corrado (M5S Senato – Commissione Cultura)