«Sono persuaso che un cristiano si converte all’Islam, semplicemente perché non conosce bene il cristianesimo. Silvia Romano ha dichiarato: “Leggevo il Corano, pregavo. La mia riflessione è stata lunga e alla fine è diventata una decisione”, Ecco: sono persuaso che la giovane donna non abbia mai letto con attenzione il vangelo. Non abbia mai avuto una fede ben salda, autentica».
Sono le ultime righe di una mia breve lettera pubblicata da Stefania Rossini sul blog de L’Espresso, il 12 maggio. Silvia Romano ha confermato quanto sostenevo, dichiarando ai magistrati: “Avevo bisogno di credere in qualcosa”. Il che significa che prima non aveva qualcosa in cui credere.
Ma forse vale la pena spiegare le ragioni della mia prima affermazione. Leggiamo nel vangelo di Matteo: “Avete inteso che fu detto: «Amerai il prossimo tuo e odierai il tuo nemico». Io invece vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5, 43 – 45).
Nel vangelo di Giovanni: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15, 12).
Ecco: il vangelo va oltre l’Antico Testamento e molto oltre il Corano. Ora, chi è abituato ad andare oltre, non può tornare indietro, sempre che non sia un gambero. Ma Silvia Romano non è un gambero. Tornando alla sua conversione, se così si può chiamare, credo che senza malizia alcuna, senza neppure rendersene conto, la ragazza si sia affidata all’unica religione che in quel momento la rendeva meno invisa, o addirittura simpatica agli occhi dei suoi carcerieri. Se fosse stata rapita da fanatici buddisti, probabilmente sarebbe diventata buddista.
Renato Pierri