Chi c’è dietro all’assassinio del 1993, di un membro della Resistenza Iraniana?

CNRI – Il 15 Marzo 1993 si ricorda il giorno in cui Mohammad Hossein Naghdi, membro del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI), venne assassinato in Italia dagli agenti dell'intelligence iraniano.
Naghdi era l'ex-incaricato di affari dell'ambasciata iraniana a Roma. Ma si unì alla Resistenza Iraniana nel 1982, divenendo membro della delegazione rappresentativa del CNRI in Italia. Dal 1983 in poi, divenne il rappresentante del CNRI in Italia.
Il giorno in cui venne ucciso due individui su una motocicletta, si avvicinarono all'automobile di Naghdi nei pressi di Piazza Alba, a Roma, alle 09:30 del mattino ed aprirono il fuoco. Naghdi morì prima di arrivare in ospedale.
L'arma utilizzata per il suo omicidio, una Scorpion 7.65 con silenziatore, venne ritrovata il pomeriggio stesso in un bidone della spazzatura in Via Monte Roceta. Il numero di serie era stato abraso.
Dopo l'omicidio, quando la polizia mostrò alla Sig.ra Moruni, la vedova di Naghdi, un album con 140 immagini, lei identificò un individuo che aveva seguito Naghdi e lei stessa per tre giorni. L'immagine apparteneva ad Hamid Parande, un noto agente iraniano.
Il “Crimine” di Naghdi
Essersi unito alla Resistenza Iraniana fu ragione sufficiente per Teheran per volerlo morto. Il fondatore stesso del regime iraniano, Ruhollah Khomeini, aveva ordinato il suo assassinio già nel 1983, un fatto confermato dalle autorità italiane.
L'intelligence dell'IRGC e l'ufficio di intelligence del primo ministro iraniano vennero incaricati di questo omicidio. Ma quando venne creato il Ministero dell'Intelligence (MOIS), al suo Dipartimento Affari Esteri, presieduto da Ali Asghar Hejazi, fu affidata la missione di portare a termine questo crimine.
10 anni per pianificare l'omicidio
Molti agenti dell'intelligence iraniano avevano già tentato di assassinare Naghdi nel 1983. Il tentativo fallì e nel 1988 Khomeini decise ancora una volta di uccidere gli attivisti della Resistenza Iraniana all'estro, tra cui anche Naghdi.
L'Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI/MEK), ottenne informazioni a questo riguardo, rinforzò la scorta di Naghid e ne informò le autorità italiane.
Dopo la morte di Khomeini, il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale dell'Iran, stilò una lista di dissidenti che era necessario eliminare, tra cui il Dr. Kazem Rajavi, Naghdi, Mohammad Mohadessin, Jalal Ganjei, Manouchehr Hezarkhani, Abbas Davari, Parviz Khazaie ed Abolghasem Rezaie. L'omicidio di Naghdi era in programma dopo quello del Dr. Kazem Rajavi.
Mentre la guerra Iran-Iraq giungeva alla fine, durante il mandato dell'ex-presidente iraniano Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, si considerarono questi omicidi come un sostituto della guerra. Questa guerra aveva lo scopo di zittire ogni dissenso, approfittando di un periodo in cui l'Occidente stava lanciando una politica di accondiscendenza verso l'Iran.
Dal 1982 al 2002, sono stati commessi circa 450 omicidi di dissidenti iraniani. Ma la politica di accondiscendenza dell'Occidente, in pratica ha occultato tutti questi omicidi.
Gli assassini che uccisero il Dr. Kazem Rajavi vennero rimandati in Iran grazie a questa politica di accondiscendenza.
Il gruppo di fuoco
Dopo diversi tentativi falliti, due terroristi del regime iraniano che trasportavano dollari e una serie di documenti falsi, furono arrestati ed espulsi dall'Italia. Uno di questi individui era Akbar Khoshkush, consulente operativo di Sarmadi, il vice-responsabile della sicurezza del MOIS iraniano. Il secondo individuo era Mansour Ahani, membro del gruppo di fuoco del MOIS. Teheran portò a termine questi omicidi grazie al supporto fornito dalla sua ambasciata a Roma e alla protezione fornita dall'immunità diplomatica.
Hamid Parande fu coinvolto in questi omicidi. Per tre anni fu responsabile dei codici nell'ambasciata iraniana di Bonn, in Germania. Parande era considerato un individuo sospetto sia in Germania che in Italia, ma era stato ugualmente fatto arrivare a Roma diversi giorni prima dell'omicidio di Naghdi. Parande arrivò a Roma il 7 Gennaio 1993, utilizzando un passaporto diplomatico numero 010236. Come recapito diede alle autorità italiane l'indirizzo dell'ambasciata iraniana.
L'8 Marzo 1993, tre individui, Hossein Neisawi, Ahmad Kalami ed Hejabadi arrivarono a Roma e andarono direttamente a trovare Parande. Due di questi individui ripartirono da Roma il 16 Marzo 1993, il giorno dopo l'omicidio.
Neisawi aveva tra i 35 e i 40 anni ed era nato nella città di Isfahan. Era noto per torturare i prigionieri nel famigerato carcere di Evin a Teheran e per essere uno stretto confidente dell'ex-comandante delle Guardie Rivoluzionarie Mohsen Rezaie.
Mahmoud Hakamian
@HakamianMahmoud

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