XIV Giornata mondiale contro la pena di morte:“L’esecuzione capitale è uno strumento del terrorismo – Fermiamo il ciclo della violenza”

Roma, 10 ottobre 2016 – “L’esecuzione capitale è uno strumento del terrorismo – Fermiamo il ciclo della violenza” è il titolo della campagna promossa dalla Coalizione mondiale contro la pena di morte e lanciata in occasione della XIV Giornata mondiale contro la pena di morte del 10 ottobre.

ACAT Italia (Azione dei Cristiani per l’Abolizione della Tortura) e la Federazione Internazionale delle ACAT (FIACAT) si mobilitano come ogni anno al fianco delle 140 ONG, avvocati, gruppi locali e sindacati aderenti alla Coalizione con l’obiettivo di veicolare un messaggio comune in vista dell’abolizione universale.

Con questa campagna, in particolare, la Coalizione intende porre l’attenzione sul fatto che, come reazione alla minaccia del terrorismo, molti Paesi (tra cui segnaliamo la Nigeria, il Bangladesh, l’India e la Tunisia) hanno adottato o modificato le loro leggi amplificando il campo di applicazione della pena di morte in relazione ad atti di terrorismo.

Attualmente ammontano a 65 i paesi che mantengono la pena di morte nella loro legislazione anche per crimini di terrorismo. In Afghanistan e in Pakistan esiste da più di 10 anni, mentre in Cina, Egitto, Ciad e Tunisia le leggi in tal senso sono state adottate fra il 2015 e il 2016, anche se nella loro legislazione era già prevista la pena capitale per alcuni delitti. Il Ciad ha eseguito subito dopo l’approvazione della legge antiterrorismo una sentenza di morte (mentre l’ultima esecuzione risaliva al 2003); in Pakistan le condanne a morte eseguite si erano fermate nel 2008.

La Coalizione sottolinea come si stia assistendo a una utilizzazione politica della pena di morte per atti di terrorismo da parte dei governi. Queste misure, infatti, appaiono connotate da un forte valore simbolico in quanto forniscono ai governi una risposta facile e veloce alla minaccia terroristica. Oltre a non essere efficace, tale strategia rischia di essere strumentalizzata dai terroristi stessi che, utilizzando la violenza della risposta degli Stati, possono così erigersi a martiri e giustificare le future azioni. Il rischio, quindi, è quello di accrescere gli estremismi e la violenza. Inoltre spesso la definizione di terrorismo è così vaga e generica da far sospettare scopi liberticidi dietro questo tipo di leggi.

La pena di morte non costituisce un deterrente per i crimini comuni, ancora meno nel caso di atti terroristici.

È possibile, invece, e anche più efficace combattere il terrorismo adottando misure che siano al tempo stesso pienamente rispettose dei diritti umani e del ruolo della legge, in particolare creando un clima di fiducia tra lo Stato e il popolo sotto la sua giurisdizione. È quanto auspica Ben Emmerson, attuale Rapporteur ONU per i diritti umani.

UFFICIO STAMPA ACAT

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