Al via la class action contro Wells Fargo. Citata in giudizio per l’apertura di circa 2 milioni di conti correnti fittizi ad ignari clienti, la banca è sospettata di frode, negligenza, invasione della sfera privata e altre accuse

Al via una causa promossa da alcuni clienti che mirano ad ottenere lo status di una class action contro Wells Fargo & Co, coinvolta in uno scandalo per i falsi conti aperti dai dipendenti a nome di ignari clienti. Un'azione legale è stata avviata nella Corte distrettuale dello Utah per frode, negligenza, invasione della sfera privata e altre accuse. La banca è già stata condanna dal Consumer financial protection bureau, l'organismo per la tutela dei consumatori creato con la riforma di Wall Street, a pagare 190 milioni di dollari per le sue ''pratiche illegali'' consistenti nell'apertura di circa 2 milioni di account, senza la conoscenza dei clienti, al fine di soddisfare gli obiettivi di vendita. La nostra associazione, evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, che già nel passato è stata promotrice di denunce contro la finanza creativa anche se nel settore assicurativo, ancora una volta, alla luce di questa notizia, chiarisce come ” la produzione capitalistica viene colta periodicamente da una vertigine, nella quale si vuole fare denaro senza la mediazione del processo di produzione”. Tutto ciò mentre l’economia reale, quella relativa alla produzione di beni e servizi, annaspa, va in crisi, ed i cittadini sono costretti a fare i conti con disagi e privazioni, precarietà e disoccupazione. Ciò consiste nel fatto che una parte rilevante del quantitativo di moneta circolante, già ridottosi per effetto della recessione, anziché dirigersi verso gli investimenti nei settori produttivi dell’economia segue ormai la via della speculazione fine a se stessa. E, come tutti sanno, la speculazione non si fregia di nessuna utilità sociale, essendo la sua missione quella di tirare profitti dalla compravendita di titoli finanziari, per il solo, e rapido, arricchimento di chi ne è artefice, degli scommettitori professionali, per intenderci. Se dal denaro, anche da quello virtuale, si può tirare fuori altro denaro, direttamente, velocemente, senza “la mediazione del processo di produzione”, perché attardarsi nell’impresa faticosa del produrre per guadagnare? Sarà stata, questa, anche la valutazione di tanti capitani d’impresa, che, negli ultimi anni, hanno pensato bene di investire i loro capitali in attività finanziarie anziché reimmetterli nel ciclo produttivo. Per tale ragione si deve mettere un limite alla speculazione finanziaria introducendo regole ed elementi di trasparenza. Non intervenire significherebbe condannare le nostre società alla catastrofe.

Lecce, 17 settembre 2016

Giovanni D’AGATA

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