Caso Cucchi. Tutti sapevano tranne qualche politico e qualche giornalista

La notizia: “Caso Cucchi, carabiniere inchiodato dalla moglie: tu hai raccontato “di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda”. Una lite familiare al telefono registrata dalla procura inguaia uno degli indagati. Il militare si infuria quando la donna gli ricorda le confidenze sul pestaggio del giovane”. Non lo sapevamo forse che il povero giovane era stato brutalmente picchiato? Eravamo in tanti a saperlo, tranne qualche politico e qualche giornalista. Sul Corriere della Sera del 14 novembre 2009, scrivevo: “Il sottosegretario Giovanardi ha affermato: «Stefano Cucchi è morto perché anoressico, drogato e sieropositivo». Nessuna meraviglia. Il cattolico Carlo Giovanardi già in passato ha dato più volte un saggio della sua intelligenza, profonda cultura e cristiana sensibilità”. E Sergio Romano dava questa risposta: “Il caso del giovane Cucchi ha suscitato gravi sospetti sul comportamento delle forze di polizia e dei medici. È giusto che l’opinione pubblica ne sia preoccupata e che la ma­gistratura indaghi. Ed è giusto che i giornali abbiano dato spazio alle voci di quanti sono indignati dalla possibilità di atteggiamenti repressivi o ne­gligenti. Ma questo coro di proteste e accuse ha avuto l’ef­fetto di oscurare un aspetto della vicenda non meno im­portante. Commossi dalla morte di Stefano Cucchi, ab­biamo dimenticato che ogni persona è responsabile della propria vita ed è inevitabil­mente destinata a raccogliere i frutti delle proprie scelte. Non ne sono sorpreso. La rea­zione al caso Cucchi è quella che si è progressivamente dif­fusa ormai da parecchi anni si­no a diventare, col passare del tempo, «corretta». La morte della vittima ne cancella le re­sponsabilità; e tanto meglio se la colpa può essere imputa­ta allo Stato e alle sue istituzio­ni… Non avrei usato le parole di Carlo Giovanardi… “. La mia replica, che Sergio Romano si guardò bene dal pubblicare: «Carlo Giovanardi per la gravità di ciò che ha affermato, avrebbe dovuto rassegnare le dimissioni. Sergio Romano per ciò che afferma in questa risposta si differenzia dalle parole di Giovanardi nella forma, ma non nella sostanza. Innanzi tutto vorrei fargli osservare che se Stefano Cucchi fosse stato un giovane elegante in giacca e cravatta, magari a bordo di una macchina lussuosa, le «mele marce» delle forze dell’ordine lo avrebbero trattato con rispetto. Di norma le «mele marce» danno addosso ai poveri cristi. L'affermazione poi che “ogni persona è responsabile della propria vita ed è inevitabil­mente destinata a raccogliere i frutti delle proprie scelte”, è sconcertante per la banalità, l'inesattezza e la crudeltà… ».

Miriam Della Croce

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