BOLIVIA TRA CAMBIAMENTI POLITICI ED ESPERIENZE SOCIALI


di Annamaria Carrese, Dipartimento Esteri – relazioni con l'America Latina

Il 20 settembre 2015, durante l’ultimo incontro di Convergenza Socialista, avevo concluso il mio intervento con il bellissimo discorso di José Mujica al G20 del 2012, in Brasile. E voglio collegare i temi affrontati dal Presidente uruguayano a proposito del clima, dell’economia e dell’ambiente presentando oggi i ragguardevoli risultati ottenuti in Bolivia dalle politiche di Evo Morales. Parlare di Morales è molto importante ed attuale, non solo per i successi ottenuti dalle iniziative intraprese in questi dieci anni in Bolivia e per l’approvazione anche esterna che queste politiche hanno suscitato, ma anche perché il Presidente boliviano è in prima linea nella lotta alle cause che hanno portato ai cambiamenti climatici di cui si sta discutendo a Parigi. Morales ha già espresso il suo parere e parlato dei suoi piani in questo senso alla Conferenza Mondiale dei Popoli sui Cambiamenti Climatici, tenutasi a Tiquipaya in Bolivia lo scorso ottobre, definendo il capitalismo “un cancro per la Madre Terra”.

La conferenza ha prodotto una dichiarazione in dodici punti, di cui quelli più rilevanti sono:

• La creazione di un tribunale internazionale con la capacità di intervenire in maniera concreta e vincolante per prevenire, perseguire e punire gli Stati che inquinano e che causano i cambiamenti climatici per azioni od omissioni;
• Compensazioni da parte di nazioni ricche nei confronti delle nazioni in via di sviluppo per debiti climatici, sociali ed ecologici accumulati nel tempo;
• Il respingimento senza riserve del sistema capitalista globale e del colonialismo

Morales ha dichiarato che “oggi il mondo è schiacciato da una crisi climatica, economica, alimentare, energetica, istituzionale, culturale, etica e spirituale senza precedenti. E’ un sistema caratterizzato dal dominio dell’economia da parte delle corporation transnazionali il cui obiettivo è accumulare potere e privilegi e per le quali il valore di mercato è più importante delle vite degli esseri umani sulla terra”. A questo proposito richiamo brevemente le parole dell’ex Presidente Mujica: “Siamo stati noi a creare la civiltà nella quale viviamo: figlia del mercato, figlia della competizione, che ci ha portato a uno sviluppo materiale portentoso ed esplosivo … Ma l’economia di mercato ha creato la società di mercato, che ci ha rifilato questa globalizzazione. E’ possibile parlare di fratellanza e dello stare tutti insieme, in un’economia basata su una competizione così spietata?” E ancora: “La crisi non è ecologica, è politica.” “E’ il consumismo che sta aggredendo il pianeta. …” “La causa è il modello di civiltà che abbiamo messo in piedi. Quello che dobbiamo cambiare è il nostro modo di vivere.”

Il sogno del socialismo del secolo XXI, così definito da Hugo Chávez, nasce quindi dall’esigenza di ridurre le disuguaglianze emerse con il liberismo. La realizzazione di questo progetto è la Bolivia di oggi, dopo che il Paese ha mostrato in maniera chiara il fallimento della dottrina neoliberista di Milton Friedman e della scuola di Chicago imposta in America Latina nell’ambito del cosiddetto Consenso di Washington.
Negli anni ’80 in nel Paese sudamericano si verificò la conversione al libero mercato: economia e stato sociale subirono un duro smantellamento grazie alla “shock economy” imposta sia dagli uomini del Fondo Monetario Internazionale che dai presidenti che si sono poi avvicendati per circa 25 anni. Anni durante i quali, con il pretesto di combattere la rapida inflazione, vennero inasprite le tasse e furono annullati i diritti dei lavoratori congelandone i salari e diffondendo malessere e povertà. Le conseguenze peggiori per la Bolivia derivarono dalla svendita delle aziende di Stato fornitrici di elettricità, petrolio e trasporti, sia per il costo dei servizi che per la disoccupazione che ne derivò. La povertà salì in soli cinque anni da meno di due terzi a più di tre quarti.

La popolazione protestava in misura sempre crescente, ma i presidenti-fantoccio, guidati dagli Stati Uniti continuarono ad avvicendarsi ma fra gli anni 1997-2001 si verificò una prima significativa vittoria nella “guerra dell’acqua”, che costrinse l’allora presidente Hugo Banzer a fare marcia indietro sulla privatizzazione del servizio idrico, decisione imposta dalla Banca Mondiale che fece triplicare il prezzo dell’acqua potabile e che impose addirittura una licenza sulla raccolta dell’acqua piovana.

In questo contesto di agitazioni esasperate dei boliviani emerse il sindacalista Juan Evo Morales Ayma. Un cocalero, un raccoglitore di coca, di quelli che, si diceva, servivano solo per votare, mai per governare. Morales non riuscì a vincere le elezioni presidenziali del 2002 perché fu ostacolato in ogni maniera possibile dagli U.S.A., ma il suo partito, El Movimiento al Socialismo, diventò il primo partito all’opposizione.
Il Movimiento al Socialismo sostenne la battaglia per l’acqua pubblica e si oppose alla svendita delle risorse nazionali alle imprese transnazionali, e dopo le dure repressioni governative nei confronti di milioni di manifestanti, l’ultimo presidente-fantoccio rassegnò le dimissioni. Nel 2005 Morales vinse le elezioni con ampia maggioranza.

L’economia del presidente Morales fu impostata su una profonda rottura con le politiche liberiste adottate in passato e soprattutto sulla ri-nazionalizzazione delle telecomunicazioni, dei giacimenti di gas naturale, degli oleodotti, delle raffinerie, della produzione di elettricità e delle miniere di stagno e zinco. Il depauperamento delle risorse naturali del Paese da parte delle potenze straniere fu così interrotto dopo decenni di devastazioni.

Il PIL pro-capite della Bolivia è raddoppiato dal 2005, anno in cui fu eletto Morales. In soli sei anni è passato da 1.182 dollari (2006) a 2.238 (2012): il più alto dell’America Latina dopo Panama. Perfino il FMI non ha potuto non esprimersi a favore della lodevole politica monetaria.
Le riforme sociali, l’incremento dei servizi educativi e la riduzione della povertà sono stati obiettivi centrali della politica di Morales, attuando delle modifiche alla Costituzione con proposte del Presidente confermate tramite referendum nel 2009 (con affluenza superiore al 90%).

La riduzione delle disuguaglianze di reddito ha fatto sì che la percentuale di popolazione che vive in povertà si sia ridotta da due terzi a meno di un terzo; questo importante risultato ha portato al calo della disoccupazione, che si aggira oggi attorno al 3%, che viene definito “fisiologico”, cioè piena occupazione. Le migliori condizioni di vita, la possibilità di fare progetti di vita, di affrontare più serenamente il futuro, hanno accresciuto in maniera considerevole i consumi: il salario dei boliviani è infatti quadruplicato in questi dieci anni di presidenza di Evo Morales, e la politica delle nazionalizzazioni ha dato dei benefici mai vissuti in precedenza dal Paese: man mano che le casse dello Stato si riempivano, aumentava la spesa pubblica per sanità e servizi. La scolarizzazione ormai diffusa e la sconfitta dell’analfabetismo sono state possibili grazie alla riappropriazione della piena sovranità nazionale e dei tagli agli interessi economici stranieri.

Non sono mancati, in questi dieci anni, l’avversità dei media locali, ancora oggi controllati dai conservatori filo-americani, e delle multinazionali, i cui interessi sono stati fortemente danneggiati dal nuovo corso boliviano. Ma finora il successo del Presidente Morales, sostenuto dal popolo e dai suoi campesinos (Evo Morales è un indigeno, discende dagli Aymara, il popolo andino la cui saggezza è citata anche da Pepe Mujica) non ha subito interruzioni. Perfino i due golpe ai suoi danni sono falliti, ma l’attenzione deve rimanere costante, perché se è vero che la Bolivia non aveva mai vissuto un periodo così florido, è altrettanto vero che questo benessere fa ancora gola a molti, ed è necessario diffidare non solo di media e destra politica; gli interessi statunitensi si nascondono anche dietro le ONG e i movimenti ambientalisti, i quali continuano a tentare in vario modo strumentalizzazioni della popolazione indigena per creare scontri.

Convergenza Socialista guarda a quel “buen vivir” o “vivir bien” che è la politica adottata nel nuovo corso latinoamericano, perché si nasce come partito intorno a delle idee, ci si incontra e ci si organizza poi per realizzare dei fatti, e questi fatti sono evidentemente possibili perché esistono dei modelli veri, concreti ed encomiabili di una buona politica, per tutti, senza esclusi.

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