“Apologia di un profeta”. Nuovo libro del siciliano Giuseppe Messina nel quarantennale dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini

Tiziana Cambria

Sono trascorsi sei mesi dalla pubblicazione del suo “Penelope” che ha seguito “Il testamento di Odisseo” ed ecco che Giuseppe Messina (scrittore, poeta, pittore, scultore, regista,…) si presenta al pubblico con un altro libro “Apologia di un profeta” che ha per sottotitolo “Nel quarantennale dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini”. L’opera sarà presentata la sera del 31 ottobre all’auditorium “San Vito” di Barcellona Pozzo di Gotto. Sembra che il volumetto vuol essere un omaggio a Pier Paolo Pasolini (assassinato nella notte tra l’1 e il 2 novembre del 1975) un grande, un coraggioso intellettuale, che chiamava le cose con il proprio nome pur sapendo quali ripercussioni avrebbero potuto avere contro la sua persona. Quest’uomo, che il Messina per primo ha definito “Profeta”, era scomodo per certi ambienti che non ammettevano contraddittorio; scomodo per quegli anni in cui le trame di una pericolosa strategia della tensione erano già in corso ed egli, mente più che lucida, l’aveva capito. Pensando a questo straordinario uomo di cultura, il Maestro Giuseppe Messina, oltre dieci anni fa, avevo pensato di fargli un omaggio con una sua opera da pubblicare in occasione del trentesimo anniversario del suo assassinio, purtroppo gli eventi della vita non sempre si verificano come vorremmo, per cui l’appuntamento è stato rinviato. Adesso quel suo desiderio diventa realtà con la pubblicazione di “Apologia di un profeta” che coincide con il quarantesimo anniversario dell’assassinio del poeta friulano il cui pensiero avveniristico, il cui operato, il cui impegno sociale suggeriscono al Messina di definirlo profeta. Pasolini aveva un’identità particolare, prorompente nei diversi ambiti dello scibile umano. Infatti se egli, come poeta è l’uomo delle parole nuove ovvero colui che carica i suoi versi di spiritualità, ma anche di quella materialità che l’uomo ha bisogno per nutrimento della sua esistenza, se le sue opere pittoriche sono lo specchi di un’anima ansiosa per la sorte di una società ingannata da chi rappresenta i poteri costituzionali e istituzionali, se i suoi films sono, prima la continuazione del neorealismo e poi lo specchio storico della coscienza di una certa società, i suoi scritti diventano pura denuncia della causa dei mali sopportati da quella società ingannata dai governi che non esita a denunciare come servitori dei poteri economico-finanziari. Come lo stesso Giuseppe Messina ci suggerisce non dobbiamo dimenticare che Pier Paolo Pasolini intese processare la Democrazia Cristiana sul “Corriere della Sera” e sul settimanale “Il Mondo” accusandola “di indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con gli industriali, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la C. I, A., uso illecito di enti come il S. I. D., responsabilità nelle stragi di Milano e Brescia (almeno in quanto colpevole d’incapacità di punire gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani (responsabilità, questa, aggravata dalla sua totale inconsapevolezza), responsabilità della condizione delle scuole, degli ospedali, responsabilità delittuosa della Televisione e della distribuzione borbonica delle cariche pubbliche ad adulatori e parenti”. Non meno di tutto quello che noi stiamo vivendo ancora oggi.

Certamente, la scomparsa di Pasolini è stata una grave perdita per tutta la società italiana e la responsabilità deve essere addebitata a chi ha fatto credere che egli fosse un “uomo a perdere” ovvero che della sua morte a nessuno sarebbe importato granché. si sapeva che era abbandonato da tutti, tant’è che egli lo rende pubblico l’uno agosto del 1975 quando sul “Corriere della Sera” scrive: “E io sono qui, solo, inerme, gettato in mezzo a questa folla, inesorabilmente mescolato ad essa alla sua vita che mostra tutta la sua “qualità” come in un laboratorio. Niente mi ripara, niente mi difende. Io stesso ho scelto questa situazione esistenziale tanti anni fa ed ora mi ci trovo per inerzia: perché le passioni sono senza soluzioni e senza alternative. D’altra parte dove fisicamente vivere?”

L’assassinio di un intellettuale del valore di Pasolini ha fatto comodo a chi preferiva avere una società dormiente della quale egli era il vero stimolo e il pungolo fastidioso per il potere imperante che non voleva essere disturbato. Sì, Pasolini era un disturbatore del maligno status quo. Giuseppe Messina ricorda di essere stato un attento osservatore delle azioni, dell’operare di Pasolini e di aver capito quanto egli fosse lungimirante, quando tanti altri suoi coetanei si distraevano con la futilità o si davano alla sterile protesta. Non è facile dimenticare come, quel grande intellettuale, era trattato in certi ambienti, dove si cercava di fargli pesare la sua “diversità” come una colpa tremenda, imperdonabile. Il Messina che non ho mai badato alle preferenze sessuali dei suoi interlocutori ha sempre cercato, culturalmente parlando, di apprendere il meglio di chiunque, e Pasolini era il meglio che la ribalta culturale potesse offrire in quegli anni.

Allora vi erano tanti altri artisti e letterati che hanno dato un grande contributo alla cultura italiana, e non soltanto italiana, come Alberto Moravia, Italo Calvino e altri, ma Pier Paolo Pasolini non li riteneva dei coraggiosi. Colti si, ma non intellettuali che contribuivano a rivoluzionare lo stato in cui versava l’Italia: erano gl’intellettuali dell’epoca del “Bum economico”, non del bum culturale per cui Pasolini si spendeva. Con molti di questi egli entrava spesso in conflitto e rinfacciava loro l’assenza nell’impegno sociale. Era scontento del disimpegno di Moravia, di Calvino e di altri. Addirittura di Leo Valiani, ex partigiano, ex costituente e futuro senatore a vita, nel suo articolo sul “Corriere della Sera” del 9 settembre del 1975, scriveva: “Mi ha completamente deluso, perché ciò su cui io chiedevo che egli intervenisse, era l’eventuale processo penale contro una dozzina o una ventina di potenti democristiani che hanno ridotto l’Italia del 1975 in condizioni forse peggiori di quella del 1945. Valiani, su questo, ha evitato il discorso”. Questa la dice lunga sul coraggio di Pasolini, e un uomo così non poteva che essere messo a tacere con qualunque mezzo.

Tornando ad “Apologia di un profeta”, si tratta di un volume con meno di settanta pagine, formato mezza pagina A4 con un interessante contenuto che vale la pena leggere per arricchire ciascuno il proprio bagaglio di conoscenza su una materia poco trattata poiché poco commerciale. C’è da sottolineare che il suo contenuto è indirizzato a tutti, ma soprattutto ai giovani, così come a loro, Giuseppe Messina, ha dedicato tutta la produzione artistica e letteraria di questi ultimi tempi, poiché, egli ritiene, siano loro quelli su cui grava il compito di correggere i gravi errori causati dalle generazioni precedenti. A questo punto, a proposito di giovani, conviene riportare alcuni versi di “Apologia di un profeta” che valgono più di qualsiasi commento:

Le “Ceneri di Gramsci”… // Quelle di Pasolini… // Verbo da seminare, // anche, oltre i confini; // il mio tentativo // è di farlo attecchire // nel giovane contesto // con voglia di sentire. // La corsa dei ragazzi // va sempre sostenuta // specie in un ambiente // che sovente non muta: // è risaputo, come facilmente, // vi sia la mala pianta che alligna, // quindi è da estirpare, decisamente // e darle fuoco come alla gramigna.

Nella foto l’artista Giuseppe Messina.

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