L’amore disinteressato dei seguaci di Cristo

Su D – La Repubblica del 15 febbraio, Umberto Galimberti scrive: “Quando Kant dice che «la virtù è felicità in se stessa» intende dire che non si è virtuosi se si pratica la virtù in vista di uno scopo gratificante. Se do l'elemosina a un povero per sentirmi psicologicamente gratificato dal mio gesto, non sono davvero virtuoso, perché quel che mi motiva non è quel gesto, ma la gratificazione che provo nel compierlo. Quando la virtù ha in vista uno scopo, il compierla non ha per Kant un valore morale, ma un valore utilitaristico, dal momento che l'azione non viene compiuta perché la si riconosce buona in sé, ma per il vantaggio che ne deriva. Per questa ragione Kant ritiene che la morale cristiana non è una vera morale, perché le azioni buone vengono compiute in vista di una ricompensa quale può essere la salvezza dell'anima e il paradiso. Di conseguenza sono azioni “interessate” e non “morali”. E una morale che si fonda sull'interesse non può valere per tutti”. Il cristianesimo, però, non è questo. Nel vangelo i passi dove di parla di ricompensa, non si contano. Ne ricordiamo solo alcuni tra i tantissimi: “Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti”(Lc 14,13). “Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà»” (Lc 18,29). Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi» (Mt 5, 11 – 12). Ma il fine che spinge un cristiano ad amare il prossimo, non è la ricompensa presente e futura, bensì il bene del prossimo. Altrimenti il suo non sarebbe vero amore. Il fine che spinge un cristiano a fare l’elemosina ad un povero, è il bene del povero, non la gratificazione. Il cristiano è persuaso che l’azione che compie è giusta e buona in sé. Gesù dice semplicemente: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”, e il suo certamente era un amore disinteressato. Perché non dovrebbe esserlo quello di un seguace di Cristo?

Attilio Doni

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