Vittorie e mattarelli

Renzi ha vinto ancora una volta e stavolta in modo ancora più completo, tranquillizzando la sua “minoranza”, non facendosi ricattare dagli alleati di governo e da Forza Italia, non avendo debiti da saldare con tanti altri.
Quattro minuti di applausi hanno accolto nell'aula di Montecitorio l'elezione a presidente della Repubblica di Sergio Mattarella, dodicesimo Capo dello Stato della storia repubblicana, con un consenso molto più largo del previsto, con 665 voti e una convergenza che va molto di là da quella dei grandi elettori.
Il vero vincitore è però Renzi, che come promesso c’è la fa al quarto scrutinio, tiene unite le varie anime del Pd ed anzi le rende più calme che mai, incassa una grande credibilità internazionalew e mette all’angolo Berlusconi, ridimensionando l’alleato Alfano.
Una bella batosta l’ha presa Berlusconi, che nel giro di un anno Matteo ha fatto espellere dal Senato, ha restituito ad agibilità politica con il Patto del Nazareno e poi ha lasciato con un palmo di naso scegliendo (anzi imponendo) il suo candidato unico e non intercambiabile per il Quirinale, un nome indigesto per l'ex Cavaliere, ma senza un vero appiglio per poter essere boicottato te, tanto che tutti (o quasi) in Forza Italia si sono affrettati a spiegare che non contestano la scelta ma il metodo, rimarcando così la sconfitta politica.
E non solo Berlusconi ha le ossa rotte, ma a ricevere colpi di matterello sono tutti i sostenitori del Patto col PD, Denis Verdini in testa e poi anche l’eminenza grigia Gianni Letta, tanto che Raffaele Fitto è già partito al contrattacco.
Ridimensionato anche Alfano, costretto da Renzi un ruolo da comprimario quasi silente, anzi balbettante di fronte alla minaccia di rimpasto o di elezioni anticipate.
Non solo Alfano ma tutto il suo partito, costola di FI e erede in pectore de La Balena Bianca, ne esce malconcio e con i primi segni di frane, con a casa per dimissioni l'ex ministro del Lavoro Sacconi e via dal partito la portavoce Saltamartini in apertissimo dissenso con i capi.
E come scrive la giornalista de La7 Myrta Merlino su Huffingonton Post del Gruppo l’Espresso, sul “Mattarellum” inciampa anche il Movimento 5 Stelle, vittima di una scelta troppo astuta persino per due volpi come Grillo e Casaleggio, con “l’ebetino di Firenze” che li ha fregati proprio perbenino, costringendoli a subire un Presidente su cui per adesso non hanno trovato niente da ridire.
Ma la vittoria maggiore dell’astutissimo Renzi riguarda il suo partito, perché ha saputo non giocare alcuna partita e scegliere un nome gradito a tutti, finanche alla pasionaria ed anti renziana doc Rosy Bindi e riuscendo a superare la trappola dei “giorni bugiardi” in cui furono impallinati Franco Marini e Romano Prodi e cadde poi Bersani, portando lui a capo del partito prima e del governo poi.
Ma, forse, la vittoria maggiore consiste proprio nella scelta del nuovo Capo dello Stato perché sono in molti a pensare che, per come si conosce Sergio Mattarella, la sua calcolata mitezza, la sua lucida compostezza, il suo spirito poco incline ai colpi di teatro , potrebbe essere stato proprio lui “l'arma” di tutte le battaglie, dal 1994 a oggi, che hanno portato sugli altare il politicamente scaltrissimo Matteo.
Naturalmente non voglio essere frainteso e credo che la scelta di Mattarella sia giustissima, anzi, sacrosanta. E non perché ha un curriculum impeccabile e ha dimostrato di saper tenere la schiena dritta, ma perché odia la mafia e le virate destrorse e con la legge che porta il suo nome, ha di fatto varato la seconda repubblica.
Gli amici siciliani che lo conoscono da sempre dicono di lui che è sempre stato moderato, razionale, disponibile, ma fermo su principi e valori, sui quali non transige.
E pochi ricordano l’unica volta in cui alzò la voce, guidando con Rosy Bindi il piccola drappello di DC che abbandonarono il partito che virava a destra con Buttiglione, in un sotterraneo dell’hotel Ergife, un albergone romano sulla via Aurelia usato per celebrare i concorsi pubblici con migliaia e migliaia di candidati, in una saletta dalla luce incerta, non distante da quella in cui qualche mese prima Craxi aveva gettato la spugna, con il Partito popolare erede della vecchia Dc che dopo aver riflettuto sulla peggiore sconfitta della sua storia, abbonda nova di fatto il suo DNA fatto di “centro che guarda a sinistra”.

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