Venezuela, una comuna socialista
«La nostra sfida, adesso, è costruire uno stato comunale basato sull’autogoverno», dice il venezuelano Anibal Montilla, dirigente dell’organizzazione Corriente revolucionaria Bolivar e Zamora (Crbz) e del Frente nacional comunal Simon Bolivar (Fncsb). Montilla ha accettato di rispondere alle domande del manifesto durante l’Incontro mondiale dei movimenti popolari, che si è svolto a Roma per volontà di papa Francesco, e in cui il dirigente socialista ha illustrato i termini del «laboratorio bolivariano».
La Corriente revolucionaria è un’organizzazione «che si articola in vari settori, da quello contadino a quello operaio, dal settore formativo a quello dell’informazione, dalle fabbriche recuperate alle piccole unità produttive». Uno dei suoi punti di forza è quello di accompagnare il percorso giuridico e politico delle comunas: circa 300, su complessive 885 già registrate. Un lavoro di tessitura dal basso che «implica l’assunzione piena di responsabilità per donne e uomini provenienti da tutti i settori popolari», che organizzano la vita in comune gestendo lavoro e risorse a partire dalle proprie capacità e necessità.
Cos’è esattamente una comuna e come si forma?
Si comincia con una riunione di tutti i portavoce dei consigli comunali, che si chiama riunione di iniziativa. Vale precisare che i Consigli comunali, regolati per legge, sono istanze di partecipazione, articolazione e integrazione tra le diverse organizzazioni comunitarie, gruppi sociali e singoli cittadini e cittadine, che consentono al popolo organizzato di esercitare direttamente la gestione delle politiche pubbliche e i progetti orientati alle necessità e alle aspirazioni delle comunità per la costruzione di una società di equità e giustizia sociale. Oggi ne esistono quasi 32.000.
Dunque, i portavoce spiegano perché e con quale ragione politica s’intende fare una comuna. Poi riportano la decisione in ogni consiglio comunale. Quindi viene convocata l’assemblea comunale bolivariana in cui si elegge una commissione promotrice che verrà registrata e certificata dal ministero compentente: quello delle Comunas, ora diretto da Elias Jaua, che eroga risorse attraverso i suoi diversi istituti. Dopo la registrazione, la commissione ha tempo due mesi per fare un’indagine territoriale, redigere una carta dei principi fondativi della comuna e organizzare un referendum.
La nostra organizzazione accompagna i cittadini in tutto questo percorso di autogoverno, organizza corsi di formazione politica per i singoli comitati nella gestione finanziaria, giuridica, politica. Finora, l’unità primaria dello Stato, in Venezuela è il municipio, ora si sta approvando una legge dell’ordinamento territoriale in cui l’unità primaria sarà la comuna. E questo può dar fastidio a chi, anche nel proceso bolivariano, teme di perdere i privilegi del suo potere politico: perché noi parliamo di portavoce e di cariche a rotazione, non di ruoli politici inamovibili. Siamo però consapevoli che non si possono distruggere le impalcature prima di aver costruito fondamenta solide.
Ma una cosa è certa: migliaia di poteri consapevoli e autogestiti sono più solidi di un unico potere centralizzato che può essere rovesciato. Aveva ragione Hugo Chavez nel dire: comuna o nada. E noi abbiamo un quadro istituzionale che ci consente di consolidare il socialismo a partire dall’autogoverno dei territori in cui si situa il vero potere popolare.
Qual è il rapporto della vostra organizzazione con lo stato?
Appoggiamo e sosteniamo il proceso bolivariano, abbiamo anche un rappresentante in parlamento, eletto nel Partito socialista unito, ma diciamo la nostra in completa autonomia. Quando Jaua era ministro dell’Agricoltura abbiamo occupato 19 agenzie governative per farci sentire. Il nostro lavoro si svolge lungo 5 linee trasversali: la prima nei consigli comunali: con l’organizzazione della Rete dei produttori liberi e associati che ha eliminato gli intermediari tra i piccoli produttori e i consumatori, nelle misiones, con le milizie popolari, perché condividiamo l’impiego di ogni forma di lotta per difendere il socialismo.
La seconda riguarda la formazione di quadri per convertire ognuno in moltiplicatore di coscienza. La terza si situa nella comunicazione, abbiamo un giornale e una radio comunitaria in cui tutti apprendono ad analizzare e a trasmettere una notizia, una pagina web. La quarta linea agisce nell’economico-produttivo, soprattutto nelle zone rurali, nelle imprese di produzione sociale, ma anche nelle fabbriche recuperate e autogestite. Lo stato ci mette le risorse ma sta a noi proporre progetti e lavorare per la sovranità alimentare.
Come Fronte contadino, ultimamente abbiamo ricevuto un finanziamento di oltre 2 milioni di dollari per un progetto di allevamento eco-sostenibile. Abbiamo depotenziato il monopolio della grande distribuzione dando valore alla piccola produzione. Quello che la destra non può sopportare è che il popolo prenda in mano la propria vita, senza deleghe in bianco.
Quale fase sta attraversando il Venezuela bolivariano?
L’ultimo congresso del Psuv è stato di alto livello, attraversato da un vivace dibattito soprattutto sulla costituzione del nuovo stato comunale. Il 23 novembre si eleggono i rappresentanti dei circoli del buen vivir, ci stiamo preparando a una dura battaglia con la destra. L’altro giorno guardavo un’enorme piscina che prima faceva parte di un grande latifondo espropriato. Ora è a disposizione di tutti e in un’ala della villa si svolgono corsi di formazione gratuita, giochi per i bambini. Se la borghesia riprende il potere non saranno rose e fiori: loro rivogliono gli antichi privilegi, noi il buen vivir e il bene comune.
Ma la crisi economica, l’alta inflazione?
In 15 anni, abbiamo fatto incredibili passi in avanti, a tutti i livelli, ma non siamo nel socialismo pieno, lo stiamo costruendo. E siamo ancora intrisi dei modelli di consumo della società alienata che ci impone di spendere per il superfluo facendoci credere che sia essenziale. Per la stampa internazionale, in Venezuela c’è scarsità di cibo, ci sono i black out. E certo la rete elettrica non funziona come dovrebbe: prima di tutto perché i consumi sono notevolmente aumentati, adesso anche nelle campagne più sperdute dove prima non avevano né da mangiare, né la luce elettrica, ora c’è il frigorifero, il televisore e il cellulare. Ma c’è anche un problema di assenza di iniziativa e responsabilità dei lavoratori in certi settori che sono molto ben pagati. I problemi economici vengono soprattutto indotti dalla destra per destabilizzare. Considera che noi abbiamo 2.800 km di frontiera con la Colombia, il valore del peso comparato col bolivar è maggiore e i nostri prodotti vengono venduti a bassissimo costo nelle catene di distribuzione del governo, e se ne vanno spesso nel contrabbando oltrefrontiera: in piccolo, dovuto alle condizioni difficili che vivono i colombiani, in grande, al traffico gestito su grande scala a fini di profitto e destabilizzanti.
Da noi, una bottiglietta di acqua minerale costa 10 bolivar, per fare il pieno di benzina della mia camionetta, pago 5 bolivar per tutti i 55 litri. Un affare attraente per le mafie di confine: il 40% dei nostri prodotti se ne va oltrefrontiera. E poi c’è la speculazione. Dal primo novembre, è in vigore la legge per il controllo del prezzo giusto, che tutti devono esporre al pubblico. La destra prima genera violenza e poi accusa il governo di essere la causa dei problemi. Succede come durante il governo Allende: le grandi imprese tolgono i prodotti dal mercato per provocare lo scontento e destabilizzare i governi legittimi con l’appoggio dei grandi media.
Mi ricordo che durante il governo di Herrera Campins, un socialcristiano, dall’82 è scomparso per tre anni il latte in polvere e l’olio, la gente ha imparato a friggere col burro e si è arrangiata in altri modi, ma non è successo niente. La destra ha la memoria corta quando le conviene. Durante le proteste violente dello scorso febbraio, se avessimo voluto assumere lo scontro violento fino in fondo, ci sarebbero stati molti morti, invece ci siamo limitati a difenderci.
Venezuela, una comuna socialista Geraldina Colotti
“Nuestro reto, ahora, es construir un estado comunal basado en el autogobierno”, dice el venezolano Aníbal Montilla, dirigente de la organización Corriente revolucionaria Bolívar y Zamora (Crbz) y del Frente Nacional comunal Simón Bolívar (Fncsb). Montilla ha aceptado responder a las preguntas del Manifesto durante el encuentro mundial de los movimientos populares, que se ha desarrollado en Roma por voluntad del papa Francisco, en el cual el dirigente socialista ha ilustrado los términos del “laboratorio bolivariano”.
La Corriente revolucionaria es una organización “que se articula en varios sectores, del campesino al obrero, del sector formativo al de la información, de las fábricas recuperadas a las pequeñas unidades productivas”. Uno de sus puntos de fuerza es aquel de acompañar el recorrido jurídico y político de las comunas: alrededor de 300, sobre un total de 885 ya registradas. Un trabajo de engranaje desde la base que “implica la asunción plena de responsabilidades de mujeres y hombres provenientes de todos los sectores populares”, que organizan la vida en común gestionando trabajo y recursos a partir de sus propias capacidades y necesidades.
¿Qué cosa es exactamente una comuna o cómo se forma?
Se comienza con una reunión de todos los portavoces de los consejos comunales, que se llama reunión de iniciativa. Vale precisar que los consejos comunales, regulados por la ley, son instancias de participación, articulación e integración entre las distintas organizaciones comunitarias, grupos sociales y ciudadanos y ciudadanas individuales, que consienten al pueblo organizado ejercer directamente la gestión de las políticas públicas y los proyectos orientados a las necesidades y a las aspiraciones de las comunidades para la construcción de una sociedad de equidad y justicia social. Hoy existen casi 32.000.
Así pués el portavoz explica por qué y con cual razón política se busca hacer una comuna. Después reportan la decisión en cada consejo comunal. De allí es convocada la asamblea comunal bolivariana en la cual se elige una comisión promotora que será registrada y certificada por el ministerio competente: el de las comunas ahora dirigido por Elias Jaua, que suministra los recursos a través de sus diferentes institutos. Después de registrarse, la comisión tiene dos meses de tiempo para realizar una inspección territorial, redactar una carta de los principios fundacionales de la comuna y organizar un referéndum.
Nuestra organización acompaña a los ciudadanos en todo este recorrido de autogobierno, organiza cursos de formación política para cada comité en la gestión financiera, jurídica, política. Hasta ahora la unidad primaria del Estado, en Venezuela es el municipio, ahora se está aprobando una ley del ordenamiento territorial en la cual la unidad primaria será la comuna. Y esto puede crear molestia a quien, también en el proceso bolivariano, teme perder los privilegios de su poder político: porque nosotros hablamos de voceros y de cargos a rotación, no de roles políticos inamovibles. Somos, sin embargo, conscientes que no se pueden destruir las estructuras antes de haber construido cimientos sólidos.
Pero una cosa es cierta: miles de poderes responsables y autogestionados son más sólidos que un único poder centralizado que puede ser derrocado. Tenía razón Hugo Chávez en decir: comuna o nada. Y nosotros tenemos un cuadro institucional que nos consiente consolidar el socialismo a partir del autogobierno de los territorios en los cuales se encuentra el verdadero poder popular.
¿Cuál es la relación de vuestra organización con el estado?
Apoyamos y sostenemos el proceso bolivariano, tenemos además un representante en el parlamento, electo en el Partido socialista unido, pero damos nuestra opinión en completa autonomía. Cuando Jaua era ministro de la agricultura, ocupamos 19 agencias gobernativas para hacernos sentir. Nuestro trabajo se desarrolla a lo largo de las 5 líneas transversales: la primera en los consejos comunales, con la organización de la red de los productores libres y asociados, que ha eliminado a los intermediarios entre los pequeños productores y los consumidores, en las misiones, con las milicias populares, porque compartimos el empleo de cada forma de lucha para defender el socialismo.
La segunda concierne la formación de cuadros para convertir cada uno en multiplicador de consciencia. La tercera se sitúa en la comunicación, tenemos un periódico y una estación de radio comunitaria, en los cuales todos aprenden a analizar y a transmitir una noticia, una página web. La cuarta línea actúa en lo económico-productivo, sobre todo en las zonas rurales, en las empresas de producción social, pero también en las fábricas recuperadas y autogestionadas. El estado pone los recursos, pero nos corresponde a nosotros proponer proyectos y trabajar para la soberanía alimentaria.
Como Frente campesino, recibimos en los últimos días un financiamiento de más de 2 millones de dólares para un proyecto de cría eco-sostenible. Hemos mermado el monopolio de la gran red de distribución, dando valor a la pequeña producción. Lo que la derecha no puede soportar es que el pueblo tome en sus manos su propia vida, sin delegar poderes en blanco.
¿Cuál fase está atravesando la Venezuela bolivariana?
El último congreso del Psuv ha sido de alto nivel, atravesado por un vivaz debate, sobre todo por la constitución del nuevo estado comunal. El 23 de noviembre se eligen los representantes de los círculos del buen vivir, nos estamos preparando para una nueva batalla con la derecha. El otro día miraba una enorme piscina que antes hacía parte de un gran latifundio expropiado. Ahora está a la disposición de todos y en un ala de la quinta, se desarrollan cursos de formación gratuitos, juegos para los niños. Si la burguesía retoma el poder no serán rosas y flores: ellos quieren de nuevo sus antiguos privilegios, nosotros el buen vivir y el bien común.
Pero ¿la crisis económica, la alta inflación?
En 15 años, hemos dado increíbles pasos hacia adelante, en todos los niveles, pero no estamos en el socialismo pleno, lo estamos construyendo. Estamos todavía penetrados por modelos de consumo de la sociedad alienada que nos impone gastar en lo superfluo haciéndonos creer que es esencial. Para la prensa internacional, en Venezuela hay escasez de comida, que hay apagones. Claro, la red eléctrica no funciona como debería: en primer lugar porque los consumos han aumentado notablemente, ahora también en el campo más alejado, donde antes no había ni qué comer, ni luz eléctrica, ahora hay nevera, televisor y celular. Pero hay también un problema de ausencia de iniciativa y responsabilidad de los trabajadores en ciertos sectores que son muy bien pagados. Los problemas económicos vienen inducidos sobre todo por la derecha para desestabilizar. Ten en cuenta que nosotros tenemos 2.800 km de frontera con Colombia, el valor del peso comparado con el Bolívar es mayor y nuestros productos son vendidos a muy bajo precio en las cadenas de distribución del gobierno y se van frecuentemente en el contrabando al otro lado de la frontera: en pequeño, debido a las difíciles condiciones que viven los colombianos, en grande, al tráfico, conducido a gran escala con fines lucrativos y desestabilizadores.
En nuestro país, una botellita de agua mineral, cuesta 10 bolívares, para llenar el tanque de gasolina de mi camioneta, pago 5 bolívares por los 55 litros. Un negocio atractivo para las mafias de frontera: el 40% de nuestros productos se va al otro lado de nuestras fronteras. Y después está la especulación. A partir del primero de noviembre, entra en vigor la ley para el control de precio justo, que todos deben exponer al público. La derecha primero genera violencia y después acusa al gobierno de ser la causa de los problemas. Sucede como en el gobierno de Allende: Las grandes empresas quitan los productos del mercado para provocar el descontento y desestabilizar los gobiernos legítimos con el apoyo de los grandes medios de comunicación. Me acuerdo que durante el gobierno de Herrera Campins, un socialcristiano, desde el año 82 desapareció la leche en polvo y el aceite por tres años, la gente aprendió a freír con la mantequilla y se las arregló de otra manera, pero no sucedió nada. La derecha tiene memoria corta cuando le conviene. Durante las protestas violentas del pasado febrero, si hubiéramos querido asumir el choque violento hasta el fondo, habrían habido muchos muertos, en cambio nos limitamos a defendernos.
Traducido por Maira Garcia