“In Cile veritas” è il nuovo album di Il Cile

Milano. “Questo presente è precario ma il nostro cuore resta affamato”.

Citando sarcasticamente Steve Jobs, è l’urlo di Il Cile in “Liberi di vivere”, il brano d’apertura di “In Cile veritas” in cui usa parole crude e senza troppe perifrasi, scatta una foto molto realistica alla generazione di cui fa parte, ragazzi che non hanno più certezze e il cui futuro sarà sempre più instabile.

“La scelta del titolo per questo lavoro è dovuta al fatto che é sempre stata la musica a permettermi di tirare fuori quelle sensazioni, quelle melodie e quelle liriche che, per natura, tengo chiuse nel mio profondo, troppo spesso attraversato da tempeste e nubi minacciose – dice l’artista – In questo album ho navigato alla ricerca del sole, guardandomi attorno come sempre e scorgendo tanti ragazzi e ragazze come me che oscillano tra lacrime di gioia e malinconia, che a volte alzano il gomito per non abbassare la testa dinnanzi a un mondo sempre più privo di certezze, che cercano amore che possa regalargli un porto quasi sicuro; e quando lo perdono si trovano da soli a remare, ma continuano, perché all’orizzonte quel sole non si scorge ma lo si immagina: l’album è un brindisi alla vita, a volte per sorridere, altre per dimenticare”.

A due anni dall’uscita dell’acclamato album d’esordio “Siamo morti a vent’anni”, Lorenzo Cilembrini, in arte Il Cile, torna con “In Cile veritas”, un album contenente dieci brani inediti su etichetta Universal Music.

“La musica per me è sempre stata una compagna con la quale condividere gioie, dolori, malinconie, evasioni – aggiunge – Se il mio primo lavoro era la fotografia di un periodo interiore travagliato tradotto in musica e parole con chiaroscuri spesso taglienti e spigolosi, questo nuovo album è il ritratto di un ragazzo che non ha smesso di fare la guerra ai demoni che albergano nella sua anima, nel mondo che lo circonda e nelle delusioni che talvolta la vita comporta, ma nel frattempo ha imparato in qualche modo a dialogarci, ad analizzarli e ad allontanarli, magari con una semplice risata”.

Il giovane cantautore aretino è riuscito a farsi notare fin dal suo esordio grazie a una scrittura raffinata e viscerale; con i suoi versi descrive perfettamente ciò che sente e respira ed é quindi diventato una sorta di moderno cantastorie capace di raccontare la quotidianità di una generazione smarrita, senza più punti di riferimento e lasciata in balia di se stessa e con quella voce un po’ graffiata ci narra storie d’amore spesso piuttosto alcoliche, quasi sempre finite male, ma poi il racconto si allarga alla realtà che lo circonda, diventando così un quadro molto realistico della società attuale.

“Questo album è una contaminazione dilatata di suoni, idee, immagini e sensazioni – continua – È la naturale continuazione del primo disco, ma con uno sguardo più aperto verso la bellezza che ci circonda; che spesso è deturpata dalla società e dai rapporti umani, ma mai completamente assente. E che mai ci abbandoni l’ironia: senza di essa c’è spazio solo per l’aridità”.

La forza de Il Cile sta nella capacità di intercettare l’urgenza espressiva di una generazione e conseguentemente di definirne il linguaggio. Le sue canzoni sono scritte come se fossero piccoli film infarciti di flashback e metafore, che descrivono alla perfezione le difficoltà del vivere e dell’amare. Il tutto non senza un pizzico di amara ironia, a cominciare dal titolo che ha scelto per questo suo secondo lavoro, “In Cile veritas”, che mescola reminiscenze del latino studiato a scuola e riferimenti ad uno stato mentale a volte piuttosto confuso.

“Si dice che il rilassamento dei freni inibitori favorisca l’essere umano a rivelare cose nascoste, pensieri rimasti incastrati in qualche scomparto dell’anima, parole soffocate dalla lucidità della ragione”.

Franco Gigante

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