Discussione generale su riforma costituzionale
Signor Presidente,
Onorevoli colleghi,
Signora Ministro,
si è aperta una fase parlamentare che non esito a definire storica.
Perché sono trascorsi diversi anni, e molteplici scenari politici, dall’ultima volta che in quest’aula è approdato qualcosa di simile ad una proposta di riforma costituzionale.
E mai, vado a memoria, negli ultimi anni si è avuto il coraggio di proporre una riforma così ambiziosa.
Segnale questo, che si è consapevoli dell’esigenza di avviare un cambiamento.
E già la sola consapevolezza, rappresenta una prima grande riforma.
Voglio pertanto rivolgere un ringraziamento a coloro che stanno rendendo possibile questo percorso: ai relatori Finocchiaro e Calderoli, ai colleghi della commissione I e tutti coloro che con disponibilità ed umiltà si stanno mettendo a disposizione del confronto.
E come se si stesse concretizzando un progetto che per anni si è limitato ad essere un lontano auspicio.
Un progetto da tutti vagheggiato, ma privo di quell’input politico, capace di passare alla tanto delicata fase attuativa.
Il quesito “sul fare o meno le riforme”, come dicevo, ha radici lontane.
Che risalgono alla fine degli anni 70.
Quando crisi interne e sollecitazioni sociali, misero in evidenza l’inadeguatezza delle dinamiche di rappresentanza tradizionali.
In Italia però, dall'affioramento del problema alla consapevolezza, di tempo ne passa.
Nel corso degli anni ha poi vinto quella fazione che ha preferito condannare il paese ad una comoda arretratezza democratica.
Alimentata dal vuoto di rappresentanza e da maggioranze mai pienamente tali.
Quindi, con questa pesante eredità, noi tutti ci troviamo dinanzi ad una scelta.
Scegliere di portare l’Italia tra le potenze democratiche.
Optando per un costituzionalismo multilivello armonico con i parametri europei.
Oppure restare immobili, solo perché ci hanno fatto credere che l’Italia è un “paese diverso”.
Ma diverso da chi?
Non siamo forse noi, in quest’aula a fare la differenza?
O dobbiamo ammettere che esistono delle lobby che dovrebbero decidere per noi la migliore configurazione istituzionale del paese?
Come si è detto, oggi discutiamo dell’urgenza di contestualizzare gli strumenti del potere legislativo e della rappresentanza democratica ad uno scenario che cambia.
Perché il cosiddetto breaking point, è stato raggiunto all’indomani delle elezioni del 2013.
Dove è apparsa chiara a tutti l’insostenibilità dell’immobilismo istituzionale che ci trasciniamo da 60 anni.
Perché non è più possibile superare le impasse istituzionali, con accordi a tavolino.
E’ arrivato il momento di assumersi le proprie responsabilità.
Ed io, ho deciso di farlo, fin dal primo momento. Schierandomi a fianco di chi proponeva le riforme e sottoscrivendo anche ddl ispirati a modelli di riorganizzazione istituzionale di tipo europeo.
Sia ben chiaro. Riformare la Costituzione, per superare il tanto criticato bicameralismo perfetto, non significa tralasciare i problemi.
Siamo un paese fermo. E l’immobilismo del mercato del lavoro e della crescita economica sono soltanto il dorso socio-economico di un limite profondo. Che riguarda proprio il funzionamento di queste aule.
Quindi, invece di guardare a tutto questo solo come ad un banco di prova del governo Renzi, attendendo passivamente sul greto del fiume, dovremmo metterci noi tutti la faccia. Dopo 30 anni di ipocrisia.
Infatti, gli stessi che puntano il dito contro questa riforma, sono gli stessi che ciclicamente gridano allo scandalo dinnanzi all’ennesimo decreto-legge.
Invece, paradossalmente, alcuni di quelli che invocano la difesa della democrazia e l’urgenza di un programma riformatore, sono gli stessi che occupano gli scranni parlamentari anche da decenni.
Figli di quella stessa stagione politica che ha letteralmente impantanato il paese, boicottando ogni ipotesi di cambiamento.
Ciò conferma che quando si tratta di cambiare le regole del gioco, si predilige il quieto vivere.
in quest’aula abbiamo sentito un po’ di tutto.
Addirittura c’è chi ha sostenuto che con questa riforma avrebbe inizio “una democrazia autoritaria”.
Affermazioni che, viste dall’esterno, sembrerebbero preannunciare un golpe più che un riforma costituzionale.
Una cosa è dire: questo articolo va cambiato.
Un’altra è parlare gratuitamente di autoritarismo in un momento così delicato per il paese.
Rischiando di confondere ulteriormente i cittadini.
Ma noi cosa vogliamo? il perdurare dell’immobilismo con una democrazia regolabile ai nostri umori partitici?
O cambiare le regole del gioco per fare bene e meglio?
Sia chiaro che senza il coraggio riformatore, il Paese rischia di restare prigioniero di un perenne “inciucio” ereditato dalla prima Repubblica.
Basato su un costante gioco di equilibri, in grado di celare le reali responsabilità di un’intera generazione politica.
La gattopardesca macchina del mantenimento dello status quo istituzionale ha reso l’Italia il Paese più fermo d’Europa sotto il profilo della cosa pubblica.
Un limite emerso maggiormente con l’attuale crisi.
E proprio per questo, il superamento del bicameralismo perfetto non era forse obiettivo comune? sempre sbandierato come unica soluzione per alleggerire il processo decisionale?
Allora perché oggi si parla di deriva autoritaria?
Il Senato, nel nuovo modello costituzionale, è organo di verifica e di controllo ed è complementare non subordinato alla camera.
Anche in considerazione del fatto che la piena parità operativa tra le due Camere, è una contraddizione di cui l’Italia ha il primato.
E vale la pena sottolineare che la modifica dell’architettura costituzionale deve essere prioritaria rispetto alla stessa riforma elettorale. Poiché senza l’una non si può sperare di approdare all’altra.
Il dibattito è certamente necessario, ma non si può confondere una lecita istanza emendatrice con le accuse di illegittimità. Alimentate da chi vuole che nulla cambi.
Questo provvedimento ha l’ambizione di armonizzare due presupposti costituzionali oggetto di storico dibattito: da un lato il bicameralismo, dall’altro il regionalismo. Questa ricerca di armonia ha condotto a ridisegnare un Senato rappresentativo delle realtà territoriali ricalcando l’esperienza delle democrazie europee.
Un tratto importante va ricercato sul versante della riforma del titolo 5 in particolare per quanto attiene il superamento dei punti più critici.
Ampliando, tra le altre cose, la competenza esclusiva dello Stato su alcune materie di valore strategico.
Il testo interviene anche sul potenziamento del ruolo del governo in Parlamento. Al fine di esorcizzare il continuo ricorso alla decretazione d'urgenza che rappresenta uno degli strumenti di maggiore criticità dell’attuale sistema.
Questo progetto, malgrado le insinuazioni dei detrattori, conduce ad una maggiore responsabilizzazione del governo. Venendo meno i lacci e i lacciuli che finora hanno rappresentato un alibi per l’azione dell’esecutivo.
Come dicevo, il testo all’esame non è certamente una panacea, sussistendo dei nodi delicati che meritano di essere sciolti.
E questa è un’osservazione lecita e non strumentale.
Soffermiamoci ad esempio sulla riformulazione dell’articolo 57 della Costituzione.
Dal nuovo parterre di componenti, risulta esclusa una presenza rappresentativa della Circoscrizione Estero, intesa come 21sima regione italiana.
Di contro, l’attuale articolo 48 della Costituzione prevede l'esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all'estero soltanto per l’elezione della Camera. Introducendo un disarmonico livello di rappresentanza presso le due Camere.
Ma la circoscrizione estero – al pari delle altre – è uno dei distretti elettorali in cui è suddiviso il territorio ai fini dell'elezione di un organo collegiale. Pertanto il superamento dell’elettività diretta dei rappresentanti del nuovo Senato non dovrebbe corrispondere con il depennamento della circoscrizione estero ma con la sua ricontestualizzazione entro i nuovi parametri di rappresentanza.
Il venir meno della conditio di elettività diretta dei rappresentanti, ha legittimato una transizione del concetto di area di rappresentanza, dalla circoscrizione elettorale di tipo regionale alla Regione vera e propria. Pertanto l’abolizione di tale rappresentanza, equivarrebbe ad ammettere una sua subalternità rispetto alle altre circoscrizioni elettorali italiane, che equivalgono oggi – ai sensi del nuovo art. 57 – alle singole regioni italiane.
Con queste riflessioni non intendo difendere un interesse di parte, in quanto io stesso espressione di quell’area di rappresentanza.
Ma condurre un ragionamento di diritto, che veicoli quella presa di responsabilità di cui parlavo prima.
Persuaso che il rinnovamento e la legittimità costituzionale debbano seguire la stessa strada.
Ho voluto porre la questione. Fin dalle prime battute dell’iter parlamentare della riforma, discutendone con il Ministro Boschi e confrontandomi con la Commissione I.
Premurandomi sempre e comunque di distinguerla dalla mia volontà di supportare il percorso riformatore.
Trattandosi di due percorsi distinti.
Ed è questa consapevolezza che mi ha portato a formulare degli emendamenti e a sottoporre un ordine del giorno.
Con questo non voglio attaccare chi mantiene una posizione diversa.
Comprendo chi, con una diversa opinione, ritiene che la rappresentanza nell’ambito del nuovo senato possa assumere una fisionomia diversa. Si è intellettualmente liberi e ognuno opera, attuando il portato della propria esperienza.
Io ho voluto operare una scelta diversa tramutando in proposta quella che è stata la mia esperienza politica: intraprendendo forse il percorso più complesso, quello di mettermi in prima linea nella sfida delle riforme.
Non tirandomi indietro, però, dal segnalare quanto ancora è possibile e necessario fare. Senza barricarmi dietro a comode posizioni di accondiscendenza improduttiva.
Non ci sono interessi di parte, accordi di partito o ambizioni personali dietro questo.
C’è soltanto la sincera e trasparente volontà di essere portatore di un cambiamento: ed è proprio questa la scelta più coraggiosa.
Cari colleghi, le premesse per superare il guado ci sono tutte, sta a noi assumerci la responsabilità di attraversarlo con consapevolezza, mettendo da parte – una volta per tutte – quell’approccio calcolatore da prima repubblica la cui scia di danni è ancora sotto i nostri occhi.
Grazie