La Seconda Repubblica, che molti vorrebbero obliare, è, concretamente, al tramonto. Portata a compimento dalla nascita di un Esecutivo politicamente “giovane” e senza un’opposizione parlamentare degna di questo nome. Intanto, la Terza Repubblica resta da tracciare. Gli “irriducibili” d’oggi lo sono solo a parole; il Governo Renzi procede lungo una strada della quale non conosciamo la meta terminale. Insomma, la crisi italiana è anche d’identità politica. Rispetto ai seguiti economici, potrà sembrare marginale, ma, almeno per noi, è la concausa della situazione nazionale. Le responsabilità restano parecchie, tuttavia anche l’incertezza è una variabile ben presente sul fronte politico del Paese. Il protagonismo, lasciando da parte certi “fenomeni” marginali, è tramontato. La realtà, che è quella che conta, è vissuta sulle spalle dei disoccupati, dei cassintegrati, dei pensionati e di tutti quelli che non riescono più a far fronte alle necessità di una vita normale. Certo è che dopo la carta “Renzi”, giocata senza preavviso, un’epoca politica è finita; come finiti sono i partiti che ne costituivano la minuta struttura portante. Dopo quasi 68 anni di Repubblica, i compromessi non servono più. Ora viviamo le vicende di un Potere che è sempre meno dalla parte del cittadino. Punto nodale della questione è, e rimane, l’attendibilità. Chiudere col passato non è garanzia per il futuro. Rinnegare il proprio ieri è, già, sconvolgente. I “distinguo” di una filosofia politica becera hanno nauseato. Anche quelli che, forse, c’avevano fatto calcolo. L’Italia ha bisogno di certezze. Ieri, come oggi e, ancor più, per domani. Le disquisizioni per un “sottile” impegno non hanno cambiato una realtà che ci trasciniamo appresso da decenni. Se sono necessarie alleanze, per garantire una solida maggioranza parlamentare, ora ci sembra che sia stata imboccata la strada sbagliata. Proprio per la mancanza di una linea programmatica realmente condivisa da tutti. Quando non c’è un’Opposizione qualificata, non si può fidare in altro. “Incontri” e “Scontri” tra il vecchio ed il nuovo non porteranno a nulla di buono. Dopo i patti “sciagurati” e quelli “riscaldati”, arriveranno i tempi di quelli “vuoti”. Dato che il riciclaggio parlamentare sembra non produrre effetto alcuno, non ci rimane che appurare, sino a quando sarà conveniente, la linea che l’attuale Esecutivo intende portare avanti. Dopo l’estate, ci saranno i primi riscontri e l’autunno vedrà ancora la recessione in prima linea. Senza prospettive, se non d’aggravio fiscale, ci prepariamo ad affrontare il 2015. Cioè l’anno che dovrebbe segnare la “nascita” della Nuova Repubblica. Col tempo delle riforme costituzionali ed istituzionali, l’Italia comincerebbe ad assumere il profilo per il Millennio principiato quasi quattordici anni prima. Solo allora, potremo verificare se il “copione” è stato rispettato; come promesso al Popolo italiano. Per ora, tutte le scelte rimangono possibili. I giorni di Renzi hanno ridestato la speranza. Di fatto, però, di “speranza” non si vive. L’attuale Governo, nato da un compromesso che di “storico” non ha un bel nulla, si barcamena con una maggioranza dove il Centro Destra (NCD) continua a giocare un ruolo strategico per evitare un’ennesima crisi politica. Sarebbe la terza nel giro di una manciata d’anni. Nonostante l’attuale realtà, restiamo ottimisti. Ciò che ha stato impossibile ai politici, di nuova e vecchia generazione, non lo sarà per il tempo; inteso come trascorso cronologico degli eventi. Piano, piano, una classe politica s’andrà ad estinguere e nuovi virgulti si presenteranno all’orizzonte d’Italia. Solo ci auguriamo, per il bene di tutti, che la terza Repubblica, quando sarà varata, non abbia legami, neppure psicologici o di debito, col passato. Dato che ci sarà, ovviamente, un dopo Renzi, errori del genere sarebbero ingiustificabili. Ecco perché abbiamo aperto questa nostra riflessione con l’intestazione “Discontinuità”. Termine che, se adattato ai fini politici, sembra destare la preoccupazione per molti. Non esclusi quelli che, nel passato, l’avevano proposta. L’Italia futura non avrà, almeno lo auguriamo, somiglianza con quella che stiamo tentando di lasciarci alle spalle.
Giorgio Brignola