Farci i conti in tasca è sempre un’impresa antipatica. Soprattutto con quest’aria che tira. Spesso, però, è necessario per tentare d’intendere com’è mal presa l’economia italiana. In altri termini, quella di tutti i giorni, quella dell’uomo qualunque che, in definitiva, interessa la gente. Per avere precisi termini di raffronto, abbiamo preso in esame prodotti merceologici comuni. Limitando la nostra indagine tra aprile 2003 e aprile 2014 (undici anni d’economia italiana). I dati comparati si riferiscono alla media nazionale; anche perché gli stessi differiscono, anche sensibilmente, tra regione e regione. Il pane comune è rincarato del 13%. L’incremento ipotizzato era solo del 5,7%. La carne bovina è rincarata del 27%. Mentre l’incremento previsto avrebbe dovuto attestarsi al 19%. Le verdure, pure con la buona stagione, hanno registrato un incremento del 17%, contro quello previsto dell’11%. Gli stipendi e le pensioni, per lo stesso periodo, hanno subito un aggiornamento del 9% (al lordo d’imposta). Insomma, le retribuzioni ed i trattamenti previdenziali, nella maggioranza dei casi, sono stati proporzionati in modo inferiore al reale costo della vita. Se l’Esecutivo Renzi riuscirà a mantenere le sue promesse di programma, la situazione potrebbe, forse, non peggiorare. Oggi, con poco più d’Euro 1000 (netti mensili) non si riesce ad arrivare a fine mese. Lasciamo correre i problemi, per lo più artificiosi, correlati al cambio Lira/Euro. Con la politica dissennata di quest’ultimo decennio, anche i conti in lire sarebbero stati in “rosso”. Con un affitto da pagare, e senza troppe pretese, una famiglia (4 persone) ha bisogno d’almeno 2000 Euro mensili per tirare avanti. La crisi che stiamo vivendo è, quindi, d’origine politica e d’incontrollata crescita della divisa europea. Se non fosse stato possibile correlare i prezzi al consumo dei prodotti più comuni (alimentari e non) all’indice d’inflazione reale, i “tecnici” avrebbero potuto, con analogo meccanismo, porre un “calmiere” sui generi di maggiore utilità. Superato il tetto stabilito “pro capite”, non sarebbe restato che accettare il prezzo di libero mercato. I “poveri” ci avrebbero rimesso di meno ed i “ricchi” non se ne sarebbero neppure accorti. Ma calmierare i prezzi nessuno ha avuto il coraggio di proporlo. Anche se, tutto considerato, n’avrebbe avuto vantaggio anche la grande distribuzione. Si è preferito, invece, sviluppare il libero mercato, l’apparente concorrenza con le conseguenze che sono ben note a tutti. Mentre l’Esecutivo, forte di un apprezzamento alle recenti Consultazioni Europee, continua per la sua strada, gli italiani tirano la cinghia. Senza certezze; solo con la speranza d’uscire da quest’inqualificabile situazione. Gli incrementi fiscali, certamente tra i più alti del mondo, ed applicati con una logica tutta da ristudiare, ci hanno messo alle corde. Riprendere la via di una libera economia, in un’Europa senz'altri vincoli territoriali, appare ancora affrettato. Anche perché le “stelle” del Vecchio Continente non brillano all’unisono. Il ruolo d’Italia resta da quantificare nella misura in cui si riuscirà a sanare, prima di tutto, l’economia interna. Compito difficile per tutti. Cominciando da Renzi. L’indebitamento nazionale non è solo fittizio. La penisola s’è svenduta i pezzi migliori per evitare il collasso. Che ci sia riuscita è una tangibilità ancora tutta da verificare. Intanto, gli investimenti internazionali nel nostro Paese restano limitati per un Euro ”forte” all’esterno, ma non all’interno. Nel 2002, ci siamo mossi in modo inadatto. Nessuno c’aveva imposto premura. La conversione Lira/Euro poteva essere meglio patteggiata. Invece, abbiamo acconsentito a un “rapporto” di cambio (in pratica Euro 1= Lire 2000) che ha dimezzato il nostro potere d’acquisto immediatamente. La Gran Bretagna, esaminata la sua situazione socio/economica, ha mantenuto, invece, la vecchia Sterlina. Con prerogative che, ancora ora, non sono minimizzabili. Adesso, è chiaro, non è più possibile tornare indietro; ma è anche difficile valutare la nostra situazione con la Banca Centrale (BCE). In Europa, tanto per capirci meglio, chi decide la politica comunitaria sono i Paesi con l’economia più forte. Il nostro continua a non è tra questi. All’interno, ci “pensa” Renzi. Vedremo.
Giorgio Brignola