Nichi Vendola torna a Civitavecchia. L’ultima volta fu nel settembre 2011. Allora si trattò di un comizio fiume, in cui il leader di Sel venne accolto da una piazza stracolma. Altri tempi, prima dell’Ilva e prima della crisi che adesso attanaglia Sel.
Nel 2011 Nichi Vendola veniva suo malgrado riverito come un messia biblico. In più di una occasione egli stesso è dovuto intervenire per far camminare la sua gente con i piedi per terra, rifiutando il mitologema e la santificazione della sua persona. Rispondeva, Vendola, non ad esigenze di tipo politico, ma prettamente psicologiche: era la valvola di sfogo complessiva delle frustrazioni del popolo della sinistra.
I fatti dell’Ilva, le divisioni interne di Sel, in cui l’ala “amministrativa” si sente molto, troppo vicina al PD, il mancato approdo al Partito del Socialismo Europeo sono tre enormi batoste. Esse ci presentano, oggi, un Vendola diverso. Leggermente ammaccato, meno profetico, ma più efficace. Il discorso di Civitavecchia, infatti, ci consegna un Nichi che, pur non rinunciando alle citazioni dotte e alle ardite metafore, si tiene alla larga dalla poesia e parla concretamente dei problemi del paese. Ed allora la crisi economica, la fine della mobilità sociale, la riforma del lavoro non sono più elementi poetici, ma prendono realmente vita. Queste alcune frasi chiave del suo intervento: “La diseguaglianza è un attentato alla democrazia e all’economia”, “Il futuro quando noi eravamo giovani era il luogo delle aspettative, per i giovani di oggi è una minaccia”,”Oggi è una giornata in cui dovremmo incazzarci un po’. Oggi il parlamento vota la legge sul lavoro, che è una vera e propria schifezza.”
Vendola ci appare, qui a Civitavecchia, come un onesto politico che tira, con una certa fatica, la carretta di Sel e la carretta ancor più trasandata della Lista Tsipras, cercando di portarla a destinazione. Ci è parso affaticato, ma grintoso, meno divino, più umano. Di certo più simpatico.
Mario Michele Pascale
