Elusione fiscale. Per la Cassazione Raul Bova non commise reato. Accolto il ricorso dell’attore mentre la questione torna sul tavolo del Tribunale di Roma

La dichiarazione infedele con cui si elude il fisco non ha rilevanza penale se non viene superata la soglia di 50 mila euro. E’ quanto sentenziato dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 7615 del 18 febbraio 2014 ha accolto il ricorso presentato da Raul Bova. L’attore era stato indagato per aver creato una società schermo alla quale aveva ceduto i suoi diritti di immagine al solo scopo di ottenere un indebito risparmio fiscale. Inoltre per la Procura la dichiarazione dell’impresa conteneva dei costi fittizi. Per gli ermellini “il superamento della soglia rappresentata dall'ammontare dell'imposta evasa costituisce dunque una condizione oggettiva di punibilità, in mancanza della quale (ossia al di sotto della predetta soglia) l'interesse dell'amministrazione finanziaria all'esattezza delle dichiarazioni annuali dei redditi e dell'IVA è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell'obbligo posto a carico del contribuente (interessi di mora e sanzioni)”. In poche parole spetta esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, ai fini dell'individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria. È quindi possibile che la pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria venga ridimensionata o addirittura invalidata nel giudizio innanzi al giudice tributario, senza che ciò possa vincolare il giudice penale e senza che possa quindi escludersi che quest'ultimo pervenga – sulla base di elementi di fatto in ipotesi non considerati dal giudice tributario – ad un convincimento diverso e ritenere nondimeno superata la soglia di punibilità per essere l'ammontare dell'imposta evasa superiore a quella accertata nel giudizio tributario. Secondo Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” la quarta sezione penale ha ritenuto di dare ragione al contribuente sostenendo che la responsabilità penale per i fatti ipotizzati dagli inquirenti non si configura se non viene superata la soglia di punibilità, 50 mila euro dopo il 2011. Questa prassi di contestazione usata dall’amministrazione finanziaria, è stata inaugurata dalla Corte di cassazione che ha imposto un solo limite al fisco: la prova di quella che sarebbe stata l’operazione commercialmente valida al posto di quella elusiva. Ancora oggi solo al vaglio del Parlamento una serie di disegni di legge che hanno come obiettivo dare certezza alle molte oscillazioni giurisprudenziale e soprattutto regolamentare il potere dell’amministrazione finanziaria sull’abuso del diritto. Molte le preoccupazioni di imprese e professionisti che fin dalle prime sentenze della Corte di cassazione hanno temuto un sacrificio troppo grande della libertà economica.

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