(Foto recente della Banca Commerciale Italiana di Milano, Piazza Scala, con lo scrivente)
Leggendo le interessanti osservazioni di Giacomo Morandi, direttore per gli USA della Comit, con riferimento ai libri “La sfida internazionale della Comit” e “Una storia Italiana” sono stato solleticato da alcuni ricordi vissuti in prima persona, da povero impiegato, a disposizione D.C. che calpestava i tappeti rossi di quelle immense stanze di Piazza Scala, le cui doppie porte “imbottite” – come scrive Morandi – mi facevano tremare dalla “paura”, specie quando mi capitava, invero rarissimamente, di entrare. Non voglio parlare poi di quando mi è capitato di entrare, una o due volte, nell’ufficio dell’amministratore delegato che allora era il dott. Antonio Monti…
Anzitutto, per capire meglio, soprattutto per chi non ha conosciuto la storia della nostra gloriosa Comit, va detto che essa è stata fondata a Milano il 10 ottobre 1894 e che è stata sicuramente una struttura portante nella realtà industriale del paese con la raccolta di capitale di rischio per i principali settori (siderurgico-meccanico, elettrico, chimico, trasporti, tessile) aprendo filiali su tutto il territorio nazionale, partendo dai grandi centri. Estese poi le sue operazioni al mercato internazionale, attraverso una rete di filiali e banche associate fondando con diverse partecipate, nel 1910, Sudameris, Banco Frances e Italiano para la America del Sur, con sede a Parigi, a cui seguirono Londra e New York.
In questo periodo la Comit proseguì la sua espansione all'estero, soprattutto nell'Europa Centrale, Orientale e balcanica, fino alla Turchia ed all’Egitto. Poi ci fu la crisi post-bellica, la nazionalizzazione della stessa Comit nel 1934 che divenne poi di proprietà dell'IRI fino al 1994.
Ebbe due direzioni, una a Milano l’altra a Roma, e fu un centro di attività clandestina antifascista attraverso l'impegno personale di alcuni suoi dirigenti, come Ugo La Malfa e Sergio Solmi.
Finita la guerra, la Comit intensificò la sua posizione nel mercato internazionale e riallacciò i contatti, peraltro mai interrotti, con la finanza americana. Nel 1946 fu decisivo l'apporto di Mattioli alla fondazione di Mediobanca creata per il finanziamento a medio e lungo termine alle imprese, e guidata da Enrico Cuccia già direttore centrale in Comit. Ed io, purtroppo, ma solo per l’età, sono entrato in Piazza Scala proprio con questi due personaggi.
Nel 1972, dopo l'uscita di Mattioli, la Banca Commerciale proseguì la linea da lui tracciata sia nel finanziamento all'industria, ma anche del mondo della cultura, sia nella leadership del settore internazionale. Negli anni 70 vi fu una nuova grande espansione all'estero, oltre che nelle zone già consolidate dell'Europa Occidentale e dell'area americana, anche nei mercati asiatici.
Negli anni ottanta la Comit fu inoltre la prima banca italiana a riallacciare i contatti con i paesi dell'Europa Orientale sotto l'influenza sovietica. Ed io ricordo ancora benissimo le transazioni attraverso il clearing accentrato e le lire…multilaterali…cose diverse rispetto all’Euro…., che io, da semplice addetto all’ufficio estero-merci, ero solito sbrigare ogni giorno insieme con tanti altri colleghi
Nel 1994, proprio nell'anno del suo centenario, la Comit venne privatizzata con la vendita del pacchetto di maggioranza sul mercato da parte dell'IRI e successivamente, nel 1999, come sappiamo purtroppo, fu formato il gruppo IntesaBci, che dal 18 dicembre 2002 divenne semplicemente Banca Intesa, oggi Intesa Sanpaolo.
Fu un bene, fu un male ? Sono in molti a dire che la “ingloriosa” scomparsa della Comit, avvenuta con l'incorporazione nella Banca Intesa, abbia avuto inizio proprio con la privatizzazione della stessa.
Detto questo, e non potevo non fare un excursus su questi dati storici, mi chiedo se proseguendo nel pensiero di Raffaele Mattioli rivolto ai mercati dell’Europa occidentale e dell’area americana rispetto all’attuale politica finanziaria verso l’est europeo, le cose avrebbero assunto una diversa piega. Come ? Forse si sarebbe consolidata la stessa esistenza della Banca Commerciale Italiana in contrapposizione alla miriade di istituti bancari con nomi diversi che hanno caratterizzato la politica finanziaria di Banca Intesa. Non è facile dare una risposta, ma di certo, questa diversa politica dei Bazoli, a mio avviso, ha impoverito il sistema. E soprattutto ci ha tolto la nostra Banca.
Ricordo alcune fasi relative al periodo in cui la COMIT voleva espandersi ulteriormente in America, ma soprattutto ricordo meglio le cose africane perché la banca ebbe a prepararmi in D.C. per alcuni anni allo scopo di assegnarmi qualche importante incarico in Africa, precisamente nel Cameroun, Costa D’Avorio, Dahomey ecc..
“Domani lei prende l’aereo e va a Parigi, ove si incontrerà con il dott. Capechiacci il quale la indirizzerà a Sudameris ove, da lì a poco, partirà per l’Africa, per lavorare presso la Societé Cameronaise de Banque…”
sono le parole che ancora mi risuonano nelle orecchie ad oltre mezzo secolo di distanza e dettemi in Direzione Centrale, dal Dott. Restivo e Dott. Monti, entrambi Direttori Centrali di allora. Ma ciò che ho appena raccontato rappresenta un piccolo personale spaccato di quanto stava succedendo allora.
Come ho accennato dianzi, a nessuno è dato di sapere se le cose sarebbero andate meglio in un verso o nell’altro; di ciò che si è invece sicuri al 100% è che, da quando in Comit è entrata la politica (Stammati docet !), realtà che era sempre stata fuori dalle doppie porte imbottite della Direzione Centrale e degli AA.DD., le cose sono andate via via peggiorando, tant’è che, quando incontro colleghi più giovani di me, ancora in servizio, mi sento dire : “ Beato te, Arnaldo che sei fuori, perché io non so per chi sto lavorando…”
Non sarà che, se la Banca Commerciale Italiana, con lo stesso spirito IRI del dopo guerra e quindi senza il successivo assorbimento da parte di Banca Intesa, avrebbe forse potuto proseguire sulla scia dei Mattioli, dei Cuccia ecc.ecc. consolidando le strutture economiche finanziarie già buone fino a qualche decennio fa, (e quindi anche quelle dell’ occupazione) , evitando le sempre più frequenti delocalizzazioni che, un’economia ben strutturata e giustamente fiscalizzata, forse avrebbe potuto evitare ? Ed a cui, da parte di Mattioli, si accompagnava sempre una certa ”poesia” dei sentimenti non avulsa dagli affari ? Che oggi, al contrario, si è trasformata invece in un panorama economico di natura “mors tua vita mea “? Ove l’uomo, come ho scritto ieri in un quotidiano politico, vale come il due di picche nella briscola ?
Arnaldo De Porti