Verità  scomode un po’ per tutti.

In occasione delle primarie PD non mi sono riconosciuto in nessuno dei candidati. Di Renzi condivido la politica (al singolare), cioè la visione di un sistema politico ispirato a una democrazia nitidamente competitiva e dell'alternanza, ma francamente non mi sono chiare le sue politiche (al plurale). Anche perché decisamente mobili, affidate a un tatticismo/movimentismo che non è facile ricondurre a riconoscibili paradigmi. Basti notare come Renzi sia passato in breve tempo dall'apprezzamento per Marchionne a un asse con Landini. Ciò detto, era nelle cose, è bene ed è giusto che nel PD si sia prodotta una discontinuità. Per un elementare principio di responsabilità, avendo mancato l'obiettivo (se fallimento è parola troppo forte) il gruppo dirigente che ha retto le sorti del PD, è giusto che ci provino altri. Come ho avuto occasione di dire più e più volte, ora tocca a loro. Qui stava il limite oggettivo, che ha appannato le qualità soggettive, del candidato Cuperlo. Semmai fa problema la disinvoltura con la quale taluni – è il caso di Area dem di Franceschini e Fassino – si sono prontamente associati al nuovo corso, pur avendo occupato postazioni di vertice nel vecchio gruppo dirigente. O anche di chi – penso ai “giovani turchi” – fanno sempre un verso gauchista per poi accedere al governo Letta o mostrarsi disponibili per la segreteria Renzi.
La novità/discontinuità deve essere di linea politica e dunque chi ha portato la responsabilità nella vecchia gestione deve passare la mano. Su questo sarei più radicale e meno ambiguo di Renzi. Più radicale di quanto lo sia stato nelle sue prime scelte circa la segreteria, ove figurano persone, magari relativamente giovani, ma che politicamente non sono estranee alla precedente gestione. E meno ambiguo nel confondere il mero ricambio generazionale con una più sostanziale e persuasiva discontinuità politica. Qui si misura il limite della categoria della rottamazione e della sua possibile versione meramente generazionale, anziché appunto politica.
Provo ad argomentare tale rilievo critico, proponendo qualche verità scomoda un po' per tutti e per ciascuno. Fuor di ipocrisia: per Letta, per Renzi, per Franceschini, per i “giovani turchi”.
La prima verità scomoda: la versione banalmente giovanilistica della discontinuità autorizza Letta a rivendicare la novità sua e della sua squadra di governo (che non a torto Renzi contesta). Tacendo sia la circostanza che egli, Letta, è stato attore protagonista negli ultimi venti anni di vita politica (per altro, a mio avviso, non tutti da buttare, come inclina a sostenere ingenerosamente e contraddittoriamente anche lui), sia la circostanza che la base politica del suo governo non è per nulla espressione di discontinuità e che anzi nella compagine figurano berlusconiani niente affatto pentiti dei loro trascorsi. Hanno ragione i renziani a rimarcarlo, ma questa ambiguità è figlia dei limiti immanenti alla teoria della rottamazione che essi hanno messo in circolo.
Seconda verità scomoda. Renzi rivendica giustamente il proprio coraggio nell'affrontare a viso aperto avversari e problemi. È questo indubbiamente un segno di novità sostanziale rispetto ai codici e ai riti della vecchia politica intessuta di tatticismi e ipocrisia. Ma allora dovrebbe essere conseguente. I suoi quotidiani distinguo dal governo Letta sono spesso strumentali e artificiosi. Lo si lasci dire a me, che fui tra i pochissimi a votare contro la soluzione di governo delle larghe intese nella decisiva direzione nazionale del PD. Cosa che non fecero i renziani. Di più: ancora mi si deve spiegare con quale logica Renzi, in quel frangente, avesse dato la disponibilità a formare un governo consociativo assumendo la premiership per cooptazione e non attraverso competizione. Diciamo apertamente e in pubblico la verità. Qui il più lineare è Civati. Chiedere elezioni a breve non è una bestemmia: Renzi e il PD che ha in mente sono controinteressati alla stabilità e alla durata del governo Letta. Esattamente e forse più di quanto lo fu Veltroni verso il secondo governo Prodi. Perché indulgere alla dissimulazione e all'ipocrisia? Perché infliggerci lo stillicidio quotidiano di critiche talvolta motivate e talvolta no? Meglio sarebbe sostenere più apertamente (lo si può argomentare) che questo governo non è strutturalmente e geneticamente all'altezza della missione che gli si assegna: fronteggiare l'emergenza e varare le riforme economiche e istituzionali di cui c'è bisogno. Non sarebbe più coerente con la tanto decantata “nuova politica” che non si para dietro l'ipocrisia dichiarare apertamente che si punta a nuove elezioni?
Terza verità scomoda: l'opportunismo dei pontieri. Tra Renzi e Letta oggettivamente destinati alla competizione sulla premiership si affannano pontieri più furbi che volonterosi. Essi fanno finta di non scorgere che il conflitto è nelle cose. Misconoscerlo non è saggezza e spirito unitario, semmai doppiezza e opportunismo. È il classico piede in due scarpe. Di chi sta con e persino dentro il governo, ma concorre al suo logoramento per compiacere il nuovo leader e per riservarsi così un posticino anche nei futuri organigrammi. Francamente troppe parti in commedia. Per cui può capitare che sia semmai Fioroni, schietto avversario di Renzi, con il quale raramente mi trovo d'accordo, a pronunciare le parole più coraggiose e innovative sulla forma partito del PD (certo, sarebbe stato meglio se accompagnate da autocritica) nel vivo della polemica sopra le righe sollevata dal “Corriere” sul bilancio del PD. Nelle cui cifre non scorgo nulla di scandaloso. Piuttosto è positivamente eversiva la tesi di Fioroni secondo la quale: la si deve fare finita con il partito dei funzionari; chi va in parlamento deve dimostrare di avere un lavoro di cui campare e al quale poter tornare; la si deve smettere di portarsi in parlamento o nel sottogoverno segretari e segretarie, portavoce e portaborse. Questa sì sarebbe una innovazione radicale rispetto al modello oligarchico-burocratico Pci e a quello personalistico-cooptativo degli ex Dc. Una innovazione – so di sfidare il senso comune – che, per completezza, dovrebbe tuttavia suggerire anche una qualche riflessione meno corriva sull'esaltazione acritica di un parlamento affollato di giovani che magari ancora non hanno maturato un mestiere o addirittura non hanno concluso gli studi. Un problema per loro e per la politica, cui potrebbero aggrapparsi persino più di chi li ha preceduti. Ma su questo merita tornare più distesamente.

Franco Monaco

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy