Non riconosciuto lo status di rifugiato politico
Importante provvedimento della Cassazione che concede la protezione sussidiaria alla cittadina extraUE che è scappata via dal proprio Paese per sottrarsi al matrimonio impostole dalla famiglia con un uomo di più di 70 anni.
L’ordinanza n. 25873 della sesta sezione civile della Suprema Corte, pubblicata in data di ieri 18 novembre ha, infatti, accolto uno dei motivi di ricorso di una giovane nigeriana, che era fuggita dal paese d’origine a causa delle violenze subite dai familiari che le volevano imporre un matrimonio combinato con un uomo anziano.
Seppur dimostrato che a causa del rifiuto, la ragazza era stata rapita e portata a casa del pretendente che aveva tentato di abusarla, la commissione territoriale aveva negato la protezione internazionale.
Ragion per cui la donna si era rivolta al tribunale di Trieste chiedendo che le venisse riconosciuto lo status di rifugiato politico o, in alternativa, la protezione sussidiaria o quella umanitaria. Ma sia il tribunale che la corte d’appello avevano rigettato la sua domanda ma la Cassazione le ha reso giustizia con una decisione che per Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” vale la pena diffondere per la notevole valenza persuasiva in termini di tutela dei diritti umani anche all’interno del Nostro Paese.
Sebbene, infatti, i giudici del Palazzaccio hanno ritenuto dover rigettare le doglianze del ricorso in merito al riconoscimento dello status di rifugiato, con lo stesso provvedimento hanno accolto la richiesta di protezione sussidiaria.
Quanto lamentato dalla ricorrente non configurano i motivi di «persecuzione in base ai quali tale forma di protezione viene contemplata ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 251/2007, il quale prevede esclusivamente i motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un particolare gruppo sociale, opinione politica».
I giudici di legittimità al contrario ritengono fondata la richiesta alternativa di protezione sussidiaria, bocciando i giudici dell’appello, che, pur ammettendo la veridicità del racconto della giovane, hanno escluso il diritto della stessa alla protezione sussidiaria non ritenendone sussistenti i presupposti.
Sottolinea la Suprema Corte che «E' certo tuttavia, in diritto, che la costrizione di una donna a un matrimonio forzato costituisce grave violazione della sua dignità, e dunque trattamento degradante ai sensi dell'articolo 14, del d.lgs. n. 251/2007, che configura a sua volta danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria. La minaccia di grave danno giustificante tale protezione, inoltre, non è necessario che provenga dallo Stato, ben potendo provenire anche da “soggetti non statuali” se le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio non possono o non vogliono fornire protezione adeguata ai sensi dell'articolo 6 del d.lgs. citato».
In questo caso, la corte d'appello ha ritenuto «illegittimamente di poter omettere tale verifica, o ha ritenuto di poter senz'altro escludere l'eventualità del difetto di protezione da parte delle autorità nigeriane sulla scorta dell'apodittica affermazione che la polizia, se richiesta, avrebbe certamente perseguito i responsabili». «Sarebbe stato invece suo dovere», continuano gli ermellini, «assumere anzitutto, anche d'ufficio, informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla ricorrente, attraverso i canali indicati all'art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 251/2008 o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all'esito di ciò formulare una pertinente valutazione».