Le radici ebraiche nel pensiero di Franz Kafka

A ripercorrere la sterminata letteratura critica su Franz Kafka non si può non rilevare il costante riferimento alla centralità dell’elemento ebraico nella genesi e nella struttura dell’opera del grande scrittore praghese di lingua tedesca.

Com’è noto, le interpretazioni dell’opera di Franz Kafka, secondo uno schema riproposto da Giuliano Baioni (1), possono essere suddivise in quattro gruppi fondamentali: teologiche, psicoanalitiche, esistenziali e socio-politiche.

Per Max Brod, il Processo e Il Castello rappresentano “le due forme della divinità nel senso della Cabbala: la giustizia e la grazia”. E’ questo un tema ricorrente in tutte le interpretazioni teologiche di Franz Kafka.

Autori come Angel Flores ed Enrich Fromm privilegiano invece il tema edipico, rivelando però come la “soffocante presenza dell’autorità paterna”, sia da mettersi in stretta relazione con i valori dell’ebraicità. Saranno Theodor W. Adorno, Gyorgy Lukas e altri autori di orientamento marxista a proporre una lettura di Kafka svincolata da categorie teologiche e psicoanalitiche. Ma anche in questo caso, la condizione ebraica diventa in Kafka, metafora degli “orrori” del capitalismo.

Quanto alla critica esistenzialistica, essa riprende in gran parte i temi dell’interpretazione teologica, sviluppandoli alla luce della “teologia negativa” contemporanea. Negli ultimi tempi, tuttavia, la critica si è prevalentemente orientata verso l’analisi filologica-letteraria dell’opera kafkiana.

Eppure, qualche anno fa, Giuliano Baioni scriveva: “E’ ormai un luogo comune polemizzare coi primi interpreti di Kafka, rivendicando l’autonomia del suo mondo poetico e proponendo una lettura pure nella quale il lettore non dovrebbe fare altro che affidarsi alle immagini del poeta e abbandonarsi completamente alla loro magia senza distruggere la loro irripetibile unicità in formule astratte e concettuali. E’ questa una lettura che spesso equivale sul piano critico a una esegesi immanente all’opera, a una interpretazione, cioè, rivolta esclusivamente a spiegare l’opera con l’opera, il mondo di Kafka con le immagini di Kafka”(2). Insomma, è indubbiamente vero che lo dobbiamo alle polemiche di Berger e altri se oggi possiamo disporre di un apparato critico-filologico kafkiano di tutto rispetto.

Ma “il problema fondamentale della critica kafkiana”, è, e resta quello “di un’opera che provoca e addirittura sfida il lettore ad assimilarla e comprenderla su un piano diverso da quello della semplice lettura immediata e irriflessa”(3).

Il nostro sforzo sarà quello di tentare una lettura del “grande tema” dell’ebraismo “dall’interno” dell’opera kafkiana. Il che non vorrà dire affatto riproporre una lettura “teologica” dell’opera kafkiana. Al contrario, cercheremo di mostrare come il problema ebraico nasca in Kafka proprio da una evoluzione intellettuale fortemente caratterizzata in senso moderno e occidentale.

Il problema della memoria, delle origini, delle “radici” è problema eminentemente moderno. E’ la consapevolezza di questa drammaticità è particolarmente acuta nell’intellighenzia ebraica europea, che nella perdita della “memoria” ha imparato a vedere il rischio più grave non solo per il popolo d’Israele, ma per l’intera civiltà.

E’ stato recentemente notato, a proposito del riesplodere del razzismo in Europa, che l’ “odio” verso gli ebrei nasce spesso dalla consapevolezza di vivere dentro un universo frantumato, frammentato, fatto a pezzettini e bocconi”(4).

C’è infatti l’ “invidia verso la memoria collettiva degli ebrei”, poiché “se non abbiamo un senso del nostro tempo, del nostro passato, in qualche modo anche una ‘cronosofia’ che ci spieghi il nostro destino, tutto questo si riflette sui nostri comportamenti quotidiani” (5).

In questo senso, si potrebbe dire che Kafka è tanto più ebreo quanto più moderno e viceversa: le virtù “profetiche” che alcuni autori gli hanno attribuito – Il Processo come prefigurazione dell’ “universo concentrazionario” di Auschwitz e del Gulag – non sono che il frutto di una attiva e consapevole, quanto drammatica e angosciata, partecipazione all’incontro-scontro tra ebraismo e modernità.

Nel nostro lavoro prenderemo le mosse dall’analisi del rapporto tra Kafka e la “comunità”.

Secondo alcuni critici il “caso” Kafka nasce dall’intreccio di Sekuritaet e “sradicatezza” che caratterizza l’ebraismo borghese mitteleuropeo.

Nel secondo capitolo ci occuperemo dell’ambiente sociale e familiare di Kafka, analizzando l’ “ambivalenza” della sua radice ebraica attraverso un confronto tra la famiglia materna e quella paterna. Si vedrà quindi come questa ambivalenza fosse vissuta drammaticamente da Kafka soprattutto perché egli avvertiva la sua condizione di ebreo “emancipato” come un ostacolo all’abbraccio con l’ebraismo “genuino” dei suoi avi. Su queste premesse mostreremo come la “solitudine” e l’ “infantilismo” dello scrittore praghese vadano interpretati in una chiave eminentemente “culturale” piuttosto che “psicologica”.

Nel terzo capitolo affronteremo il tema centrale dell’incontro di Kafka con i”guitti ebrei”. Vedremo come Kafka, nel tentativo di addentrarsi con passione e rigore nel mondo dell’ebraismo popolare, entrerà in conflitto col padre, vero ebreo del popolo, diffidente verso tutto quanto potesse ricordargli un passato di emarginazione e miseria da cui era faticosamente liberato. Risulterà a questo punto come lo scrittore praghese maturi la consapevolezza, lucida e dolorosa, della natura eminentemente “intellettuale” della sua passione per l’ebraismo “genuino” e della in guaribilità della “nostalgia” per il mondo degli avi.

Nel capitolo successivo analizzeremo infatti il rapporto che Kafka ha con l’yiddish. Lo scrittore scopre l’yiddish, ma si avvicina alla lingua dei padri con gli occhi dell’intellettuale europeo, laico ed emancipato. La sua lingua, è, e resta il tedesco di Goethe.

Infine, nel quinto capitolo, tratteremo del rapporto di Kafka con Berlino, città che per gli ebrei rappresenta, in tutti i sensi, la “porta” dell’Occidente. Ma Berlino è anche la città in cui più drammaticamente vengono alla luce tutte le contraddizioni del rapporto tra ebraismo e civiltà europea. Ricostruiremo dunque, sinteticamente, la storia dell’ebraismo berlinese, facendo riferimento soprattutto all’emblematica vicenda di Moses Mendelssohn, figura di ebreo emancipato ben presente alla coscienza di Kafka. Questo riferimento storico ci consentirà di meglio comprendere il rapporto di Kafka con Berlino e di mettere a fuoco la drammatica e paradossale condizione umana e culturale dello scrittore praghese.

1. 1. V. la voce “Kafka” in: Dizionario della letteratura tedesca, a cura di Sergio Lupi, Utet, Torino.

2. 2.Giuliano Baioni, Kakfa, Feltrinelli, Milano 1976

3. 3. Ivi

4. 4. “Un rigurgito di violenza che evoca antichi orrori”, intervista ad Antonio Cavicchia Scalamonti, di Giovanna Canzano su Avanti! 1.4.1992

5. 5. Ivi

(introduzione della mia tesi di laurea in fase di pubblicazione, relatore prof. Antonio Cavicchia Scalamonti, Università Federico II Napoli, anno accademico 1991-92)

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g.canzano@giovannacanzano.it

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