VA AMNISTIATA LA REPUBBLICA, NON I SONDAGGI

Forse anche i più intransigenti libertari troveranno difficile ammetterlo, ma il dibattito di questi giorni su amnistia e indulto ha assunto dei toni oggettivamente illogici e disumani. Il primo rilievo è di tipo meramente tecnico-giuridico. La Corte di Strasburgo ha imposto all’Italia dei termini per adeguare lo statuto delle proprie condizioni carcerarie ai canoni dei diritti umani internazionalmente riconosciuti. Disattenderlo è danno di legalità, di immagine e di portafoglio. In più, sono francamente stucchevoli le polemiche su un possibile scorporo tra i provvedimenti di amnistia e indulto: non solo perché essi viaggiano tradizionalmente in sincrono (anche per evitare la prosecuzione o, peggio, l’instaurazione di procedimenti che non avrebbero incidenza significativa quanto ai profili punitivi, pur tante volte invocati come irrinunciabili), ma anche perché quando si adotta prima l’uno, rispetto all’altra, questa passa dal rinvio alla soffitta nello spazio di un mattino. Si aggiunga altro, a un più largo livello di politica legislativa del diritto penale. Quarant’anni fa un pensatore radicale come Chosmky poteva affermare che l’eccesso di legge penale è un tratto deleterio dello Stato novecentesco, che lo rende, da questo punto di vista, più reazionario e limitante dello Stato liberale della seconda metà del secolo precedente. Oggi, l’eccesso non è nella norma penale, ma ancor peggio nell’esecuzione penale, perché si sono moltiplicate le tipologie di misura irrogabile (anche in assenza di un reato) e perché le norme speciali che regolamentano i reati non sono affatto parse oggetto di una seria ed equa razionalizzazione. Così la carcerazione è aumentata anche quando non aumentava la criminalità e l’aumento della carcerazione ha corrisposto solo occasionalmente a un aumento della sicurezza.
Non bastassero questi argomenti, vi sono delle ragioni di carattere umanitario che vorrebbero, letteralmente, liberare dal giogo della pena -o della “cautela”-soggetti che si siano resi responsabili di fatti di lievissima offensività sociale o che ancora non abbiano ricevuto alcuna condanna definitiva (che a volte non arriva: così se aumenta il reato e non il giudicato sulla responsabilità del suo autore, la sensazione di impunità diffusa va a braccetto con l’odio per le depenalizzazioni e le de-carcerizzazioni).
Tali ragioni possono essere accettate da un cattolico prudente, che nel settore delle pene alternative potrebbe avanzare molte proposte di impegno mutualistico e di lavori socialmente orientati (assistenziali, benefici o più semplicemente di risocializzazione del detenuto); da un liberale rigoroso, che intenda il diritto penale alla stregua di quella accessorietà e marginalità con cui è nato nella dottrina della limitazione del potere statuale; dai movimenti altermondialisti e non solo che, cercando altre piattaforme di benessere, non possono non imbattersi anche in concezioni radicalmente altre del delitto, dei suoi rapporti con la legge e con la morale.
Perché un leader di centrosinistra debba respingere a scatola chiusa un’ipotesi del genere, senza nulla dire delle varie proposte che circolano, anche fuori dalla calendarizzazione parlamentare, sembra più che insostenibile, misterioso… Ma siamo certi che i sondaggi certifichino abbastanza bene quello che pensa il popolo della galera, della giustizia e della sicurezza sociale?

Domenico Bilotti

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