Arresti per mafia a Venezia, il grande business del sistema Mose

Non è un imprenditore qualunque Mauro Scaramuzza, arrestato per i contatti con la cosca mafiosa di Gioacchino La Rocca. Ma il responsabile del settore cantieri della Fip, la società padovana presieduta da Donatella Chiarotto che ha lavorato alla costruzione delle cerniere del Mose.

Un’azienda di cui è proprietaria la Mantovani, colosso dell’edilizia e primo azionista del Consorzio Venezia Nuova. Mantovani di nuovo nell’occhio del ciclone, dunque, dopo gli arresti dell’ex presidente Piergiorgio Baita e l’inchiesta sul Mose che ha portato all’arresto del presidente fondatore del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati. La Fip di Selvazzano di Dentro è una grande azienda di proprietà di Romeo Chiarotto e dei suoi figli Giampaolo e Donatella. Tre le divisioni dell’azienda, quella finanziaria con la Serenissima holding, quella delle imprese (settore industriale e metalmeccanico, produzione di cerniere e sistemi idraulici) e quella commerciale.

La Fip, azienda specializzata ma sconosciuta ai più, aveva avuto il suo momento di gloria nazionale nel marzo del 2010. L’ex ministro per le Infrastrutture del Pdl Altero Matteoli, grande sponsor del rientrato presidente del Magistrato alle Acque Patrizio Cuccioletta, aveva personalmente battezzato le nuove cerniere del Mose. 161 ingranaggi da 34 tonnellate l’una, due per ognuna delle 78 paratoie che costituiranno il sistema Mose più qualcuna di scorta. Matteoli accompagnato da Giancarlo Galan in caschetto bianco aveva personalmente premuto il bottone del varo. «Orgoglio di un’opera tutta italiana», aveva detto. Cerniere su cui la polemica e i dubbi degli scienziati ancora non sono chiariti.

Due ingegneri di chiara fama, Lorenzo Fellin e Armando Memmio, consulenti del Magistrato alle Acque, erano stati licenziati in tronco per aver criticato il sistema di costruzione delle ceniere. «Sistema a nostro parere superato, con i pezzi saldati e non fusi, dalla durata minore e dalla manutenzione complessa», avevano scritto nero su bianco i due esperti. La risposta era stata il loro allontanamento e anche il licenziamento di Maria Giovanna Piva, presidente sostituita da Matteoli con Cuccioletta. «I dubbi sono stati superati», avevano garantito al Consorzio. Ma la tenuta delle cerniere saldate e non fuse, generalmente riconosciute più delicate, è tutta da verificare. Per aver utilizzato il brevetto dei tensionatori e degli impianti la Fip ha anche aperto un contenzioso con un’azienda concorrente, la General Fluidi, che rivendica a sé l’idea del meccanismo e ha chiesto il risarcimento dei danni.

«Noi siamo stati puniti per le nostre critiche», ha raccontato qualche mese fa alla Nuova l’ingegnere padovano Lorenzo Fellin, «perché avevano già deciso di far costruire alla Fip, gruppo Mantovani, quei meccanismi, e la Fip è specializzata nella costruzione delle cerniere saldate». Adesso le cerniere, il «cuore tecnologico» del sistema Mose, sono di nuovo sotto i riflettori. Domani sott’acqua saranno le prime otto prodotte a Selvazzano a far sollevare le prime quattro paratoie.

Dentro le cerniere, alte quasi tre metri, passano i condotti idraulici, i cavi per l’energia, i sistemi di comando della grande opera. La costruzione era stata affidata dal Consorzio Venezia Nuova alla Fip, di proprietà Mantovani e della famiglia Chiarotto, tra i big dell’imprenditoria e della finanza a Padova. Una bella storia turbata adesso dall’ arresto di Scaramuzza. Che arriva dopo l’inchiesta su Piergiorgio Baita, presidente e manager tuttofare della Mantovani fino a qualche mese fa.

Una vicenda che si lega con le due inchieste aperte in laguna e non ancora terminate. E che riaccende interrogativi sui mali del monopolio. Garantito da quasi trent’anni e previsto dalla seconda Legge Speciale, quella del 1984. Insieme alla riscrittura della prima legge del 1973, veniva istituito il Consorzio Venezia Nuova, concessionario unico dello Stato per le opere di salvaguardia. Finanziamenti statali e niente gare d’appalto. Un’opera colossale, il Mose, che doveva costare un miliardo e mezzo di euro e ora ne costa quasi sei, gestione e manutenzione escluse.

—http://www.narcomafie.it/2013/10/10/arresti-per-mafia-a-venezia-il-grande-business-del-sistema-mose/

Fonte: La Nuova Venezia

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