SI ELIMINANO I SERVIZI A OLTRE 200 MILA ITALIANI, “SI ADDITANO LE AMBASCIATE E SI CHIUDONO I CONSOLATI”

La verità sulle chiusure delle sedi consolari all’estero, in tre lettere, al Viceministro Dassù come risposta alle dichiarazioni, fatte in Parlamento, dell’8 agosto e del 18 settembre 2013.

Lettera uno

Le sedi consolari che saranno chiuse a breve nei piani del governo, d’aggiungersi alle molte già chiuse, sono: Sion; Neuchatel; Wettingen; Tolosa; Alessandria; Scutari; Spalato; Mons; Timisoara; Newark; Adelaide; Brisbane; Amsterdam e Capo d’Istria (quest’ultima è stata giustamente salvata).

Gentile Viceministro Dassù da buon esperto diplomatico, cui lei realmente è, dovrebbe aver ben chiara la differenza che corre tra un consolato ed un’ambasciata. Il primo è concepito prioritariamente nel servire ed assistere gli italiani all’estero, le seconde invece sono altra cosa e quelle fanno politica estera ed anche da ‘full spectrum actor’ come lei dice.

Afferma nell’audizione che ha svolto in Senato l’8 agosto 2013: “la distribuzione della rete è incoerente: troppo concentrata in Europa e troppo poco proiettata sui mercati emergenti”. È una rete “modellata sull’impianto di mezzo secolo fa: delle 127 ambasciate, 44 sono in Europa!” e che fa, punta il dito sulle ambasciate e poi chiude i consolati! Uffici che devono stare dove ci sono gli italiani, concepiti principalmente per dare servizi a questi, e non immezzo alla steppa del Turkmenistan per estrarre gas. Qual’è la connessione tra l’estrarre il gas ed un servizio passaporti per i cittadini nel promuovere il sistema Paese? Ma anche a Ho Chi Min City, dove è stato da poco aperto un consolato Generale, come sempre lei afferma (che poi trattasi di un semplice corrispondente consolare, senza paga, a titolo gratuito, aperto 7 ore la settimana), non mi dica che ci sono lì più italiani di Adelaide o Mons, sedi che saranno chiuse?

Se in alcune aree ci sono più consolati è semplicemente perchè ci sono più italiani – Vive in Europa la maggioranza dei residenti all'estero. Non è solo una questione di mezzo secolo fa è una questione del tutto attuale e di nuovo in crescita.

Aggiunge che “i servizi sono in diminuzione in aree di storica presenza italiana, come in Europa, dove i nostri connazionali sono più integrati” e poi che fa: taglia 10 sedi, che non sono nell’area Schengen, sulle 13. Peraltro gran parte dei servizi per noi iscritti all’AIRE sono oggi legati strettamente alla burocrazia italiana, ciò giusto per riflettere sull’integrazione europea cui lei fa riferimento.

Esprime la sua intenzione d’aprire una discussione seria con il Parlamento su come attuare questo processo, ma esprime questo a cose già fatte. A sorpresa di tutti, ha notificato questo tipo di decisioni poco prima delle vacanze estive, l’8 agosto, senza consultarsi prima ufficialmente con il Parlamento, il GCIE e tutti gli organismi rappresentativi degli italiani all’estero. È un modo di procedere poco aperto verso il dialogo, secondo noi segno forse d’insicurezza sulle ragioni che si vogliono accreditare, o tipico di quando si vuol far passare qualcosa d’impopolare; ed impopolare lo è.

Le naturali domande che ci si pone, a questo punto, sono: su quali basi tecniche, con bilanci e prospetti funzionali, vengono chiuse queste sedi? Quali sono i valori in negativo che giustificano queste chiusure dal punto di vista economico? Illustri la diseconmicità che ne deriva nel mantenere aperte queste sedi, esaminando il rapporto tra costi e benefici, ciò sotto un profilo economico ma anche sociale, ci faccia conoscere esattamente la realtà che lei vuole accreditare, insomma ci persuada con dati di fatto in maniera precisa; è il primo passo per affrontare una discussione democratica, aperta e seria.

Per piacere, Viceministro Dassù, non citi più come esempio le chiusure consolari fatte dalla Gran Bretagna a Napoli, Venezia e Firenze. Ma vede su quelle sedi non ci sono 30 mila inglesi residenti come a Mons e tutti i servizi vengono fatti per posta. Non è necessario andare di persona per un rinnovo di passaporto o altro, come per noi ed il tutto avviene in poche settimane in maniera efficiente. La chiusura di quelle sedi in Italia non crea problemi agli inglesi lì residenti.

Vede la storia e l’attualità dell’emigrazione italiana nel mondo è molto diversa da quella di altri paesi, cui sempre lei porta come esempio. L’emigrazione italiana ha le sue specificità. Ciò che dispiace molto in tutto questo e che non si sappia cogliere l’immensa potenzialità di questa vasta presenza all’estero, sia dal punto di vista economico che culturale; ci si allontana e si spinge gli italiani all’estero, di fatto, ad allontanarsi. Politicamente è un grave errore strategico, senza visione per il futuro.

Luigi Reale

Bedford

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