Mario Fratti per raccontarci la nostra storia con la sua fede

Il premio è nato trenta anni fa, nella Chiesa monumentale di S. Michele in Anacapri, luogo celebrato dal medico ormai cieco Axel Munthe, pubblicata per la prima volta da Trevers nel 1929 ed arrivata in Italia solamente nel 1932, che coglie il legame profondo che intreccia ogni esistenza alle altre.
Negli anni è stato assegnato a personalità illustri di tutto il mondo e quest’anno è andato per il giornalismo a Roberto Righetto, caporedattore delle pagine culturali di “Avvenire”; per l’economia a Silvano Petrosino, per il paesaggio a Giovanni Uggeri, per la critica Letteraria a Raffaele Bussi, per i giovani a Giovanni Fighera e, per il teatro e la narrativa, a Mario Fratti, critico teatrale e commediografo, nato a L’Aquila il 5 luglio del 1927, emigrato negli Stati Uniti nel 1963 con una laurea in Lingue e Letterature Straniere alla Università Ca’ Foscari, accolto subito con favore tipiche del teatro europeo.
Profittando del premio, consegnato il 7 settembre nel salone delle feste del mitico Quisisana, reso immortale dalle pagine del giovane La Capria, che ritorna, con fascino immutato, in “Capri e non più Capri” l libro di un uomo appassionato e viziato, esteta e intellettuale, sazio e insoddisfatto, depresso e pieno di vita; Mario Fratti ha fatto di nuovo una scappata nella sua Aquila, per salutare gli amici (primo fra tutti Goffredo Palmerini) e presentare, oggi, mercoledì 18, nell’auditorium Sericchi in via Pescara 2, con inizio alle 17, assieme al sindaco Massimo Cialente, allo storico Walter Cavalieri, all’opinionista Annamaria Barbato Ricci, al presidente della Deputazione Abruzzese di Storia Patria Walter Capezzali e allo stesso Palmerini come moderatore, il suo primo romanzo: “Diario Proibito – L’Aquila anni Quaranta”, dove racconta gli anni difficili dopo l’8 settembre del 1943, riedito da Graus con prefazione di Mario Avaglianoe con, in appendice, il dramma “Martiri”: atto unico dedicato ai Nove Martiri Aquilani, giovani in lotta per la libertà catturati e fucilati dai tedeschi nel 1943, dei quali Fratti era amico e coetaneo.
Nel 2011, per i 150 anni dell’unità, fratti aveva messo gratuitamente a disposizione il suo “Garibaldi” per tutti i teatri italiani e lo scorso anno, ancora nella sua l’Aquila, presentato in prima assoluta mondiale il musical “Frigoriferi. Una storia vera”, ispirato a “Arsenico e vecchi merletti”, must degli anni '30 portato al cinema da Frank Capra , con le musiche del Maestro Luciano Di Giandomenico, in uno spettacolo che ha coinvolto l’Orchestra Sinfonica Abruzzese, ideato ed adattato da Federica Ferrauto, Miriam Foresti e Marco Rotilio, con la regia di Stefano Genovese.
Ho già iniziato a leggere questo unico romanzo di Fratti, scritto più di 50 anni fa con il solito stile asciutto, crudo e diretto, che avrebbe poi usato i teatro e vi ho trovato non solo le tracce di un diario segreto, ma la descrizione ispirata della Italia confusa negli anni a cavallo fra la fine del fascimo e l’inizio della repubblica.
Con “Nine” (adattato dal film “8 e 1/2” di Fellini), ha vinto 5 Tony e, in America, é stato in teatro per 790 giorni per piú di 2.000 rappresentazioni. Le altre sue altre opere hanno raccolto sempre critiche favorevoli, ma solo da poco l’Italia si è ricordata di lui, con Mantova per prima, pochi anni fa, a dedicargli il giusto spazio con il titolo di “USA & Getta” – Teatro metropolitano americano, mettendo in scena titoli quali Bridge, AIDS, Salvadanaio, Sincerità, Club Suicidi, Dina e Alda, La Pillola. Ora tocca all’Abruzzo riportare il nome del suo illustre figlio nelle sale dei teatri non solo aquilani, ma almeno regionali.
Questo suo romanzo si chiude con il “capitolo” che Maurizio Molinari, corrispondente da New York del quotidiano La Stampa, ha scritto sul suo teatro nel bel libro “Gli italiani di New York”, che l’editore Laterza ha consentito di riportare, dove, riportando un giudizio di Paul T. Nolan, docente all’University of Southwestern Louisiana, si può affermare che Fratti è una delle punte del teatro americano, posto allo stesso livello di Eugene O’ Neil, Edward Albee, Arthur Miller, Thornton Weilder e Tennessee Williams, con in più un sangue europeo venato di malinconia ed anche una incrollabile nel sogno americano una fede nettamente superiore a quella di molti autori locali, una fede fatta di tolleranza e di pazienza, che sono un lascito tipicamente abruzzese.

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