LONGARONE . 50 ° ANNIVERSARIO DELLA TRAGEDIA DEL VAJONT, (1963-2013). RADUNO DEI SOCCORRITORI

(Arnaldo De Porti con Bepi Zanfron, primo reporter ufficiale del disastro del Vajont, a pochi minuti dalla tragedia,

le cui foto hanno fatto il giro del mondo -foto scattata domenica scorsa 15.9.2013)

Durante quest’ultimo mezzo secolo, mi è capitato più volte, anche su altri giornali, di ricordare l’immane tragedia del Vajont che causò la morte di 1910 persone, realtà che mi porto in cuore da allora, anche perché vissuta molto e molto da vicino, fors’anche più di tanti bellunesi, i quali, non ancora nati, mostrano oggi di aver vissuto, più direttamente che indirettamente, tale tragedia, in funzione dei nonni, genitori e parenti, vittime del disastro..

Raccontavo in passato, e devo ora ripetermi filo e per segno, alcuni fatti che mi hanno investito anche in prima persona, un giorno-due dopo la tragedia. Ero andato lì casualmente per accompagnare alcuni tecnici della SIP e, quasi automaticamente, per istinto, ho voluto fare la mia parte.

A bordo della mia “FIAT 600”, fra le macerie dopo poche ore dalla tragedia, con tanto di permesso del Comando dei Carabinieri di Trento e di Bolzano, ho visto di tutto: ruderi, case seppellite fra loro, chiese crollate e tante tante casse da morto distribuite un po’ dappertutto. La puzza dei disinfettanti mi bruciavano gli occhi, l’erba a lato della ex-strada, lambita con estrema violenza dall’acqua, pareva “stirata” come un fazzoletto, una campana della chiesa aveva trovato una collocazione quasi “miracolosa” dopo il trambusto infernale, ecc.ecc. Per devianza professionale, in veste di bancario, mi son sentito di raccogliere diverso materiale “riservato” che ho consegnato alla Direzione Generale della banca di Venezia-Mestre, il cui direttore generale , ringraziando, mi disse : “Ragazzo mio, trituriamo il tutto ad evitare di infettarci…” Ricordo che l’odore della formaldeide-cloroformio, rimase nella mia “600” per oltre un mese…, c’era allora. il generale Baraldo che coordinava i soccorsi, Bepi Zanfron che documentava la tragedia (personaggi questi ultimi che ho conosciuto a Belluno, per fortuna in altre occasioni, soltanto 20 anni fa dopo essermi trasferito da Venezia).

In questi anni, fino all’ultima commemorazione, con tutto il rispetto per i morti ed i superstiti,.mi è parso (non lo dico con malizia) che si ripeta una certa coreografia fatta di tante e nuove parole da parte di varie autorità che allora non erano ancora nate, al punto che questo tipo di commemorazione pare avere il sopravvento sul vero ed autentico significato della tragedia per trasformarsi in una giornata diversa dalle altre, in cui una sorta di “business” riveniente dalla strumentalizzazione del dolore, confligge con la morte di tanta povera gente. Ed in questo contesto, denunciatemi se non è vero, c’è chi ci ha guadagnato milioni e milioni di lire in tutta la provincia di Belluno, eccome ! E non aggiungo altro.

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Sono e resto dell’opinione che le persone che, al momento della tragedia, erano al di sotto dei 10-15 anni, ed ovviamente coloro che non erano ancora nati, non possano capire più di tanto, anche se ora si spendono un po’ gratuitamente nelle parole. Io lavoravo a pochi metri dalla SADE di allora, a Venezia… e anche oggi, a 50 anni di distanza, provo una qualche sofferenza per quegli ingegneri criminalizzati (che ho conosciuto personalmente per motivi professionali), i quali, di certo non volevano uccidere…

Domenica ho sentito Ministri, autorità, governatori di Regioni, addetti ai lavori che, si scagliavano contro lo Stato di cui fanno e facevano parte:

“ E' il giorno dei “mea culpa” dello Stato, qui a Longarone, dove oggi si sono raccolti quasi 5 mila volontari di protezione civile, vigili del fuoco ed altre associazioni, assieme ai soccorritori dell'alba del 9 ottobre 1963 ed ai familiari delle vittim del disastro “, hanno detto prima il capo del dipartimento della protezione civile, Franco Gabrielli, e poi il ministro per l'ambiente, Andrea Orlando

“Come rappresentante di un pezzo di Stato, la cui mission è la salvaguardia e la cura delle persone – ha detto Gabrielli – vi chiedo scusa”. “Trascorrendo qui questi giorni – ha aggiunto – ho percepito come quella tragedia sia ancora una ferita molto aperta, come ci sia ancora una rabbia sorda, un lutto non ancora elaborato anche perché nessuno ha aiutato queste persone ad elaborarlo”.

Di energia anche maggiore sono poi state le parole di Orlando, che ha anticipato di sentirsi in debito per non essere stato prima a Longarone “non da ministro ma da cittadino italiano”. “Luoghi come questi – ha detto – dovrebbero essere le tappe fondamentali per un pellegrinaggio di costruzione della memoria e di religione civile. L'onere di rappresentare il governo qui è un molto grande perché ho l'obbligo di assumermi colpe e responsabilità che, per generazione, non mi appartengono ma che non possono essere dimenticate”. “Bisogna chiedere scusa ai cittadini – ha proseguito Orlando – e questo lo Stato lo deve fare per il presente e per ogni volta che abbandona una persona. Per tutte le volte che non sa dire “ci sono” di fronte ad un pericolo. E per quando ha permesso che gli anni aggiungessero l'oblio o il travisamento della verità. E poi per le parole non dette o sbagliate, che si sono continuate a pronunciare”.

Il ministro è andato oltre aggiungendo che la consapevolezza dei rischi connessi all'instabilità idrogeologica del Paese “non sono migliori rispetto a 50 anni fa”. “Possiamo vantare una maggiore padronanza della tecnica, ma non dobbiamo mai abbassare la guardia e a tenere alta la guardia sono sempre le popolazioni locali. Le resistenze delle popolazioni e dei comitati non si possono sempre liquidare come localismi dei no, ci sono esperienze di chi vive nei luoghi che meritano altrettanto rispetto delle perizie tecniche. Le famiglie del Vajont si opposero e denunciarono per tempo ciò che già si sapeva e si poteva evitare”.

Rilevando, infine, che con un ” investimento sulla partecipazione attiva si può costruire un rapporto positivo fra politica e cittadini”. Tema, quest'ultimo, non disgiunto da quello dello sbilanciamento di investimenti pubblici a favore di infrastrutture piuttosto che ad opere di prevenzione e che è stato sottolineato dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. “In questo Paese abbiamo bisogno di costruire meno strade e di realizzare più opere di prevenzione idrogeologica”. “La vera sfida di civiltà per un territorio è quella di mettere in sicurezza i propri cittadini. Credo non sia facile districarsi a Roma su queste partite – ha concluso Zaia, rivolto ad Orlando – ma noi crediamo che il dissesto idrogeologico sia la vera partita da giocare”.

Insomma, tante belle parole che, al di là di un severo e necessario “Memento Homo” per tutti, non devono infierire, a fini diversi e talvolta populisticamente, presso la gente ; insomma, su questa tragedia, non si deve costruire continuamente anche una sorta di business (al di là del doveroso ricordo delle tante vittime), ma è necessario erigere seri e silenziosi monumenti alla memoria, riflettendo anche sul fatto che le vere colpe potrebbero essere maggiormente generalizzate, riconducendole un po’ anche all’imponderabilità della natura, e non soltanto in capo agli addetti ai lavori, pur non esimendoli dalle loro colpe. So che, dicendo queste cose, mi inimico con diversa gente, ma mi pare onesto e giusto non continuare a vedere le cose sempre da un’unica angolazione… e soprattutto da parte di chi non conosce i vari risvolti che le hanno determinate. Il discorso sarebbe lungo e complesso e quindi difficile da mettere insieme..

Pretendere che venga il Presidente della Repubblica a chiedere scusa, come esige il Sindaco di Longarone (a mio avviso con un po’ di..demagogia populista, pur ringraziandolo del diploma di soccorritore consegnatomi), mi pare quasi una forzatura che stride con quanto dirò in chiusura di queste mie affrettate considerazioni.

A mio modo di vedere le cose (che non è sicuramente in linea con il film sul Vajont di Renzo Martinelli), di acqua ce ne passa… vedo infatti in questo film più scenografia correlata ad altro rispetto alla vera dinamica della tragedia, sia pur nella rappresentazione della sua immane dolorosa realtà. Insomma, cavalcare il dolore in funzione della buona riuscita di un documentario o per altri fini, è un po’ deviante, perché analogamente, a parte l’eccezione mass-mediale della tragedia di Marcinelle che ha avuto forte risonanza per le sue dimensioni europee, si dovrebbe appunto fare altrettanto per i tanti minatori che muoiono ancora, quasi dimenticati…nel più assordante silenzio, nelle viscere della terra. E senza alcun sostegno a favore delle famiglie. A chi si dovrebbe chiedere scusa in questo caso ?.

E su questo argomento, credetemi, potrei spendere qualche parola… e con lo stesso dolore che provo tuttora per i 1910 morti del Vajont.

ARNALDO DE PORTI

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