UNA GIORNATA PARTICOLARE A CELLINO ATTANASIO

Nel borgo fortificato del teramano convenute le Associazioni Abruzzesi nel mondo

di Goffredo Palmerini

L’AQUILA – E’ un venerdì di fine luglio. Oggi si va a Cellino Attanasio, in provincia di Teramo, raccogliendo l’invito di Lia Di Menco, presidente del Circolo Abruzzese e Molisano di Belluno. Lia ha pensato di organizzare nel suo paese natale una giornata di riflessione per le Associazioni Abruzzesi nel mondo, dopo che si era arenata sugli scogli delle difficoltà la proposta di Roberto Fatigati, l’anno scorso accolta con entusiasmo, di celebrare il raduno a Pescara, nel 150° anniversario della nascita di Gabriele d’Annunzio. Ma promesse e sostegni non mantenuti – qui non è il caso di riferire dettagli – hanno costretto l’infaticabile presidente degli Abruzzesi del Friuli Venezia Giulia ad abbandonare l’idea, peraltro già in corsa, di portare l’Abruzzo nel mondo a Pescara per un omaggio al più illustre figlio di questa terra. Poco il tempo a disposizione, anche per comunicare l’iniziativa “Incontro d’Estate a Cellino”, ma Lia l’ha perseguita con tenacia, allestendo un programma interessante, con la collaborazione della Municipalità.

Sono appena passate le 8 di mattina quando mi lascio alle spalle la mia Paganica. Il sole ancora è troppo basso per indorare la Valleverde e lo stupendo canyon di nuda roccia dove s’infila la statale. Domina ancora l’ombra sulla trecentesca chiesa santuario dedicata alla Madonna d’Appari, un gioiello di affreschi di varie epoche da un lato incastonato nella roccia, dall’altro lambito dalle fresche e garrule acque del Raiale che scendono dal Gran Sasso. Sul Corno Grande, con i suoi 2912 metri la vetta più alta degli Appennini, il cielo è a tratti coperto. Un ciuffo bianco di nuvole avvolge l’olimpo d’Abruzzo, il “piumino” lo chiamano i padri Passionisti di San Gabriele, che stanno nell’altro versante alle falde del monte. Dicono che quando il Gran Sasso ha il “piumino” non mancherà di piovere. Non sarebbe poi una novità quest’anno, in questo strano mese di luglio. Acqua dal cielo n’è venuta in abbondanza, e quasi tutti i giorni, come rivelano le messi ancora da mietere e gli erbaggi color smeraldo. Sale serpeggiando nella valle la statale, mentre supera i suggestivi borghi di Camarda e Assergi, arrancando verso la base della funivia e con una lunga teoria di curve e tornanti fino a Campo Imperatore, a 2200 metri di quota.

Imbocco l’autostrada per Teramo e già il fornice destro del traforo mi accoglie con le sue frescure. Sopra di me una massa di roccia alta 1400 metri. Quando si progettava il traforo del Gran Sasso il fisico Antonino Zichichi prospettava al Governo italiano, per tramite il ministro Lorenzo Natali – un aquilano d’elezione – la possibilità di creare il più grande laboratorio di Fisica Nucleare del mondo per la ricerca avanzata sulle particelle della materia in assenza di raggi cosmici, schermati proprio da questa straordinaria massa di roccia. Ebbene, l’illuminato ministro ed il Governo dell’epoca seppero guardare al futuro, investirono sulla ricerca, assentendo la costruzione dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso nel cuore della montagna – tre sale, la più grande capace di contenere il duomo di Milano – così realizzando uno dei più importanti centri di ricerca dove scienziati di tutto il mondo studiano i neutrini e l’origine dell’universo. Uno dei progetti più sofisticati è condotto in sinergia con il CERN di Ginevra, da dove vengono “sparati” i neutrini. Non so se l’Italia di oggi e la sua attuale classe politica dirigente, così affannata dal consenso immediato, avrebbe fatto la medesima scelta, per una grande struttura di ricerca che avrebbe visto la luce quasi un quindicennio dopo.

Navigano nella mente questi pensieri, quando rivedo la luce dopo 10 chilometri di galleria. E’ il traforo a doppio tunnel più lungo d’Europa. Ma ecco già l’altro versante, la vetta maestosa e solenne si erge a picco sui boschi d’una valle che degrada verso l’Adriatico. Scendo verso Val Vomano cogliendo le bellezze dell’ambiente che tanto intrigò i viaggiatori europei nei due secoli scorsi. Trovarono l’Abruzzo misterioso e selvaggio, inatteso e cangiante, ricco di suggestioni. Hanno lasciato pagine memorabili, taluni. Prendo la strada che sale il crinale di colline sul lato destro della valle, in direzione di Cellino. Una ventina di chilometri dal fondovalle che già il borgo appare sull’erta d’un colle, superbo, a 430 metri d’altitudine. Vi arrivo un’ora dopo la mia partenza, guadagnando l’accesso al paese che ostenta, con fierezza, la cinta muraria con due torri cilindriche merlate, vestigia dell’antico borgo fortificato. La parte orientale, vista dalla grande balconata dove arrivo, rivela in lontananza il profilo di Atri, tra balze di colline trapunte di calanchi, è il tipico paesaggio teramano. Le colture eterogenee, su piccoli appezzamenti di terra, sono un caleidoscopio di gradualità di colori. Cellino Attanasio, le cui storia è documentata dal XII secolo, ha un vasto territorio che conserva testimonianze risalenti all’età del bronzo, mentre ville rustiche risalenti all’età romana sono state rinvenute in varie località. Dapprima pertinenza dei benedettini dell’abbazia di San Giovanni in Venere, Cellino fu poi feudo degli Acquaviva, duchi di Atri, che lo tennero quasi ininterrottamente dal Trecento fino alla loro scomparsa, quattro secoli dopo. Essi lo fortificarono con una cinta muraria dotata di nove torrioni cilindrici, dei quali restano ben conservati i due all’ingresso del paese. Subì poi, nel 1462, l’assedio angioino per mano di Matteo di Capua, venuto in conflitto con il feudatario locale, Giosia Acquaviva, legato agli Aragonesi. Un secolo dopo il borgo respinse l’attacco di Ascanio Colonna, nella pretesa di questi d’impossessarsi del ducato con il beneplacito di re Ferdinando I di Napoli. L’8 dicembre del 1798 le truppe repubblicane francesi, in forze, riuscirono ad entrare nel borgo che, per secoli, aveva difeso la sua autonomia.

Lia Di Menco mi accoglie sull’ampia balconata adiacente la chiesa di Santa Maria la Nova. E’ quasi l’ora del primo appuntamento della giornata, si aspetta l’arrivo degli ultimi ospiti. Mi dice che sono già presenti i presidenti, o i delegati, delle associazioni abruzzesi di Padova (Armando Traini), Milano (Umberto Giannico), Aprilia (Mario Di Odoardo), Basilea (Rosa D’Agostino) ed Enzo Iacovozzi, vice presidente dell’associazione italo-tedesca di Hildesheim, città nei pressi di Hannover. Altri emigrati abruzzesi, residenti in Italia e all’estero, ora in vacanza in Abruzzo, hanno raccolto l’invito. Un bel gruppo. Attendono tutti in chiesa l’inizio della S. Messa. La parrocchiale ha un campanile cuspidato, con la parte inferiore in pietra e superiore in cotto, una bella facciata in forme romaniche con rosone e ricco portale quattrocentesco, opera di Matteo De Caprio. Nell’interno l’altare maggiore ligneo, un sontuoso barocco dorato con due colonne tortili e una grande tela con il protettore S. Attanasio, un quattrocentesco tabernacolo lapideo, la colonna per cero pasquale con capitello del 1383, finemente lavorata con simboli degli Evangelisti e tralci di vite nel fusto. Sulla navata destra le colonne cilindriche in laterizio recano, sul fronte esterno, interessanti resti di affreschi, testimonianza della parte di tempio andata distrutta in tempi remoti a causa d’una frana. Il sindaco, Gaetano Zaini, architetto e grande appassionato del patrimonio monumentale ed artistico di Cellino, segnala altre preziosità d’arte che vedremo nel pomeriggio. Don Gianni Sicchiero, il parroco, anch’egli un “emigrato” da Rovigo a Cellino, celebra la S. Messa. L’orazione dei fedeli, con pensieri approntati da Lia Di Menco e Armando Traini, è tutta dedicata ai migranti, alle loro famiglie, ai Paesi che li hanno accolti. La musicista Lia Foschi all’organo e il tenore Pasquale Di Menco – papà di Lia, figura carismatica di Cellino, commediografo e compositore, uomo dall’ingegno multiforme – concludono in canto la cerimonia religiosa con un’intensa Ave Maria.

Si va in Municipio, per una riflessione sui temi e problemi dell’emigrazione. Lia Di Menco è docente di lingua e letteratura inglese in un liceo di Belluno, dove vive da molti anni ed è assai stimata. Presiede da lungo tempo l’Associazione degli Abruzzesi e Molisani di quella città. Accanto il sindaco, Gaetano Zaini, che chiama familiarmente Nino, gli rivolge con sentimento il suo saluto e il benvenuto agli ospiti giunti dall’Italia e dall’estero. E’ un orgoglio, per lei, accogliere i rappresentanti degli Abruzzesi nel mondo nel proprio paese natale. Si commuove. E’ grata al Comune ed al suo sindaco per la disponibilità prestata nell’organizzazione della giornata. Esprime amarezza per il taglio dei contributi regionali alle associazioni, a sostegno dei loro progetti di attività, ora praticamente azzerati. Una situazione pesante che tuttavia non l’ha scoraggiata nell’organizzare comunque l’incontro a Cellino, grazie al sostegno della municipalità e delle imprese locali.

Per nulla rituale il saluto del sindaco Gaetano Zaini, molto sentito il suo intervento, sopra tutto nell’evidenziare le enormi difficoltà finanziarie dei piccoli comuni, un tempo svenati dall’emigrazione di massa ed ora minacciati dallo spopolamento, per inurbazione o nuova emigrazione, se non sarà possibile assicurare ai cittadini servizi adeguati e un’apprezzabile qualità della vita. In molti di questi piccoli paesi, come Cellino, i cimiteri sono persino più estesi del centro abitato, perché sempre più spesso gli emigrati preferiscono “tornare” dopo morte, per essere inumati nella terra natale. Cita il caso recente di un emigrato in Canada da oltre 60 anni, le cui spoglie per espressa sua volontà sono tornate e tumulate nel cimitero di Cellino. Molte le iniziative e gli sforzi per far restare i cittadini in paese, motivati dalla grande passione per la storia e le valenze del territorio, con una particolare attenzione del Comune verso i giovani, perché possano sentirsi protagonisti del loro futuro nella loro terra. Infine rivolge un appello accorato alle Istituzioni, perché stiano accanto ai piccoli comuni – Cellino conta circa 2700 abitanti – specie dell’entroterra e della montagna abruzzese, sperando che l’economia locale possa sempre più far affidamento su un turismo di qualità che di questi centri apprezzi bellezze, tipicità, storia e tradizioni.

Chi scrive porta il saluto del Consiglio Regionale Abruzzesi nel Mondo (CRAM). Fa il punto dell’associazionismo abruzzese, esaltando il ruolo di promozione del turismo e delle eccellenze regionali che la rete degli Abruzzesi nel mondo potrebbe esercitare. Importanti ricadute economiche ne potrebbero derivare proprio sul sistema dei piccoli centri, che talvolta celano veri e propri scrigni d’arte. Avrebbero una prospettiva di rilievo, questi magnifici borghi d’Abruzzo, come dimostra il caso di Santo Stefano di Sessanio, con politiche ben mirate. E gli Abruzzesi all’estero potrebbero esserne ambasciatori sicuramente motivati. Beninteso se la Regione Abruzzo, in particolare, e in genere gran parte della classe politica dirigente d’Italia si rendesse finalmente conto del grande patrimonio di risorse intellettuali ed umane oggi espresse dal mondo dell’emigrazione, che potrebbero essere impegnate in un capillare progetto di promozione all’estero dell’ambiente italiano, del patrimonio artistico, della gastronomia, delle tradizioni culturali e delle straordinarie singolarità del nostro Belpaese. Ma per questo è necessario che il mondo istituzionale conosca davvero l’emigrazione italiana e la sua storia, che la riconosca nel suo valore, che dell’altra Italia scopra l’opportunità di valorizzarne le capacità di rappresentanza Su questo campo l’esperimento pilota ByAbruzzo, proposto dal CRAM ed avviato dalla Regione in Brasile, tramite la Federazione delle Associazioni Abruzzesi presieduta dall’imprenditore Franco Marchetti, ha dato risultati molto interessanti nell’esportazione di prodotti della nostra enogastronomia. Si tratta, dunque, di allargare il campo d’intervento e di mettere a sistema le esperienze fin qui prodotte.

Puntuale l’intervento di Armando Traini, presidente del sodalizio patavino, man mano cresciuto con numerose adesioni anche da altre città del Veneto. Notevoli le iniziative culturali e sociali messe in campo negli ultimi anni, come in dettaglio egli riferisce, con conferenze e mostre d’arte, tra le quali cita quella dello scultore Venanzio Crocetti. Dà quindi anticipazioni sulla prossima esposizione, nel 2014, d’un famoso pittore abruzzese, che resterà aperta tre mesi nel cuore di Padova. Riferisce poi sulla promozione del turismo estivo in Abruzzo, mare e montagna, che porta nella nostra regione centinaia di turisti veneti, innamorati della nostra terra. Se però si parla della collaborazione del sistema istituzionale alle iniziative di promozione del sodalizio, la delusione è netta. E nondimeno si ritrae da quello che ritiene essere un impegno doveroso verso l’Abruzzo, fruttuoso e importante per l’economia regionale.

Lo schietto intervento di Traini apre la stura ad altre testimonianze. Passione ed amore per la propria terra, iniziative per mantenere forte il legame con le proprie radici e tuttavia apertura ed attenzione verso altre culture, in un mondo sempre più multiculturale, dove la conoscenza ed il rispetto reciproco devono costituire un valore imprescindibile. Comune negli interventi di Giannico e Di Odoardo, per le associazioni in Italia, e di Iacovozzi (Germania) e D’Agostino (Svizzera) per l’estero, è un certo disagio nell’aspettarsi maggiore attenzione e collaborazione dalle Istituzioni, neanche in termini economici, ma piuttosto una considerazione morale e relazioni non occasionali, che dovrebbero essere invece alla base d’un rapporto maturo e produttivo. Riporterò tali aspettative alla prossima assemblea generale del CRAM, che si terrà in Belgio dal 27 al 29 settembre prossimo, a Marcinelle. Segue la consegna di riconoscimenti: al sindaco Lia Di Menco consegna una bella targa su vetro di Murano e agli ospiti omaggi di prodotti locali. Pubblicazioni in dono a tutti i convenuti dalla Municipalità. Lia non ha dimenticato nessuno nei suoi omaggi, molto premurosa la sua cortesia ed attenzione. Si va alla “Terrazza”: un’agape fraterna e festosa, ottima cucina con le eccellenze del luogo e un vino di rango.

Il pomeriggio è tutto culturale. Si torna in Santa Maria la Nova. Il parroco, accogliendo l’invito del sindaco, ci fa un gran dono. Apre il cassettone alla base d’un altare laterale, scoprendoci alla vista uno splendido Cristo morto ligneo che, pur bisognevole di restauro, mostra notevole caratura artistica. Dietro l’altare ci illustra il monumento funerario dedicato al giovinetto Giovanni Battista Acquaviva. Ci narra la singolare storia del giovane, morto a 14 anni nel 1496, anche con interessanti documenti d’archivio. Si visitano, poi, le belle chiese di San Francesco e Santo Spirito, e la magnifica quattrocentesca fontana Cisterna, nei pressi dell’antica porta d’accesso al borgo fortificato. L’abitato di Cellino è davvero suggestivo, nell’intrico di viuzze e sdruccioli arcati. Le architetture sono armoniose e curate, tutto si tiene in contesto urbano che non ha subìto ferite, rispettato nelle forme e negli antichi dettagli costruttivi. Alle 17, nella dismessa e restaurata chiesa di Santo Spirito, diventata un piccolo teatro, la presentazione del volume “Atlante storico del Gran Sasso d’Italia”, curata da Silvia Di Eleonora e Fausto Eugeni, con Lina Ranalli autori della preziosa pubblicazione, ricca di immagini e con un copioso apparato di documenti che del Gran Sasso illustrano la storia, dal 1573 al 1940.

C’è quindi in programma Daniela Musini, eccellente interprete e studiosa dannunziana, “ambasciatrice” nel mondo di Gabriele d’Annunzio. La sua intrigante narrazione della vita e delle opere del Vate raggiunge sul pubblico le più alte corde dell’emozione. Acclamata interprete delle opere poetiche e drammaturgiche di Gabriele d’Annunzio e della figura di Eleonora Duse, la Musini ha tenuto i suoi recital-concerti presso gli Istituti Italiani di Cultura di Berlino, Istanbul, Ankara, Colonia, Lione, San Pietroburgo, Kyoto, presso l’Ambasciata d’Italia a Cuba, l’Accademia di Musica della Bielorussia a Minsk, il Teatro dell’Opera di Varsavia, i Consolati d’Italia a Philadelphia e a Pittsburgh. In quest’ultima città, dove Eleonora Duse morì durante la sua ultima tournée, l’anno scorso Daniela Musini ha messo in scena “Gabriele ed Eleonora. Una passione scarlatta”, spettacolo da lei stessa scritto e diretto, in cui interpreta proprio la Duse. Un vero trionfo per l’attrice, musicista e scrittrice abruzzese, che le è valso un prestigioso e singolare riconoscimento da parte del City Council di Pittsburgh, negli States: la proclamazione in suo onore del 1° giugno 2012, data della sua straordinaria performance artistica, quale Eleonora Duse Day. Sarebbe qui lungo elencare la messe di riconoscimenti, oltre questo citato, che le sono stati tributati come scrittrice, attrice e musicista.

Ora, anche qui a Cellino Daniela Musini delizia il pubblico, parlando della vita di Gabriele d’Annunzio, della feconda produzione letteraria, degli innumerevoli amori del Vate e della donna più straordinaria della sua vita, l’attrice Eleonora Duse. Incanta, della Musini, l’eloquio forbito e sciolto, ammaliante e intenso. Rende palpitanti i riferimenti agli scritti e alle vicende del Vate, vissute con una vita sempre sopra le righe. L’artista declama infine una delle liriche meno note di d’Annunzio, “L’onda”, eppure così travolgente nella sua musicalità e stupefacente nella ricchezza idiomatica. Daniela la interpreta come sempre alla grande, raccogliendo un lungo, caloroso ed emozionato applauso. Dell’apprezzamento peraltro danno riscontro i suoi libri “I 100 piaceri di d’Annunzio” e “Mia divina Eleonora” andati a ruba, dopo lo spettacolo, esauriti in un baleno. Il sindaco di Cellino le consegna l’omaggio floreale, con il ringraziamento della Municipalità.

C’è infine il concerto, con melodie e romanze composte da Lia Foschi su versi di Fidelius, pseudonimo d’arte di Pasquale Di Menco. Cantano Flavia Petini, mezzo soprano, e Francesco Capoferri, tenore. Accompagna al pianoforte Noemi Luciani. Una serata culturale semplicemente incantevole. Declinano ormai al tramonto gli ultimi raggi di sole, la breve pioggia del pomeriggio ha reso il cielo del tutto trasparente. Nitidi sono i profili dei monti all’orizzonte e delle colline degradanti verso il mare, luminoso è il verde dominante dei campi. Porgo il saluto, grato per una giornata particolare. E’ ora di riprendere la via del ritorno. Il Gran Sasso si staglia imponente, frontale, nella sua fiera ed austera bellezza, mentre mi avvicino al traforo. Indi mi accoglie, sicuro, nel suo ventre ospitale.

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