Sono diventate tre le vittime del ghanese trentunenne Adam Kabobo, senza fissa dimora. Quest’uomo, che impazziva alla vista di un televisore e lo distruggeva, non suscita in me la rabbia, lo sdegno, l’inquietudine che provo al pensiero di un altro uomo, benestante, con una bella dimora a Caserta, e la bellissima giovane fidanzata, Rosaria Aprea, che ha preso a calci fino a spappolarle la milza. Provo dolore, è ovvio, per le vittime innocenti a Milano, per i suoi familiari, ma è quasi lo stesso dolore per la morte di persone a seguito del crollo di una casa, di un incendio, o altra disgrazia. Non mi viene il segreto desiderio che il ghanese sia preso a sua volta a picconate. Invece, anche se la ragione mi dice che non è giusto ricambiare la violenza con la violenza, mi viene il pensiero che sarebbe giusto restituire all’uomo di Caserta calci e pugni sino a mandare anche lui in ospedale. Un paio di schiaffi, invece, solo simbolici ovviamente, li darei alla giornalista o al giornalista che su Leggo.it del 13 maggio, inizia così l’articolo: “In preda all'ennesimo raptus di follia innescato dalla gelosia, si è sfogato con tutta la sua forza contro la convivente di vent'anni, madre di suo figlio”. Quale raptus di follia del cavolo? Un raptus permanente? Da anni l’uomo picchiava la fidanzata, anche per futili motivi, e già nel 2011 la sue percosse costrinsero la ragazza a ricorrere alla cure mediche in ospedale. La colpa di Rosaria era di partecipare a un concorso di bellezza.
Renato Pierri